Cerca

Eventi

Tutti gli appuntamenti

Eventi

PENSIERI LIBERI

Lasciate sognare i ragazzi, hanno bisogno di speranza

Volevano che pianificassi il mio futuro, ma io ho seguito la folle idea di andare in Islanda e adesso sono felice. Gli studi, la chimera del posto fisso, il mondo cambiato: ecco perché le proprie aspirazioni hanno valore

30 Maggio 2023 - 05:25

Lasciate sognare i ragazzi, hanno bisogno di speranza

Ci sono alcuni bivi, nella vita, ai quali non si può veramente preparare nessuno. Ci si trova di fronte a scelte difficili, e nemmeno i più saggi possono immaginarsi tutti i risvolti e le implicazioni possibili. Tuttavia, in quei momenti è necessario prendere una strada. E per farlo c’è chi si appella all’istinto, chi al buon senso, chi a calcoli probabilistici. Sono tutte strategie legittime che, a seconda dei casi, possono funzionare o meno. Uno di questi bivi riguarda la scelta del percorso di studi.

Già quando ho scelto di frequentare l’allora liceo delle scienze sociali a opzione musicale, mi è toccato sentirmi dire che si trattava di una scelta poco ponderata. Venivo vessato da domande trite e ritrite che sapevano di giaculatoria ripetuta senza porvi troppo pensiero, e sempre con le stesse parole chiave: quali sono gli sbocchi? Cosa ti dà in mano? Cosa potrai fare poi? Lascio immaginare, poi, lo stillicidio di domande e commenti quando ho scelto di studiare lingue scandinàve. E nemmeno tocco la scelta di andare a specializzarmi in studi medievali islandesi.

Purtroppo, a tredici anni, non ho potuto mettere nero su bianco un programma per punti dei futuri vent’anni della mia vita dove spiegavo nel dettaglio che cosa avrei studiato, quanto tempo ci avrei messo, e come ciò mi avrebbe permesso l’accesso a una miriade di ambienti lavorativi: dall’università, al giornalismo, dall’editoria, al turismo. Soprattutto non avrei mai potuto prevedere il risultato per me più importante: il raggiungimento di una felicità, di una serenità e di un appagamento che mi erano del tutto sconosciuti.

E che forse mai avrei scoperto, se non avessi seguito la folle idea di prendere un volo per l’Islanda e studiarvi studi medievali. Questo tipo di aspettative sociali è un riflesso di una certa burocratizzazione dell’esistenza, entrata anche nell’università, sempre più abbandonata da giovani ricercatori e professori disillusi da un sistema che una volta lasciava carta bianca per sperimentare e scoprire, anche fallendo ovviamente, ma che è diventato una trappola in cui si spende la maggior parte del tempo a compilare modulistica, dove si spiega per filo e per segno cosa si intende fare nei successivi anni, addirittura inserendo scadenze (ovviamente irrealistiche e puntualmente disattese) per quando si prevede di aver fatto qualche scoperta o raggiunto qualche risultato (non è un’iperbole per colorare il discorso: nelle università è davvero così).

Si vuole la garanzia di poter prevedere quanto e quando un investimento educativo frutterà, in che termini, e cosa permetterà di fare. Penso che tutti possano essere d’accordo nel considerare che sarebbe stato ridicolo aspettarsi dal me tredicenne, o dalle istituzioni educative che mi sono scelto, una rendicontazione puntuale che avrebbe spiegato in modo lineare come le mie scelte di studio non convenzionali mi avrebbero portato ad insegnare in un’università straniera, a pubblicare libri presso importanti case editrici italiane, ad avere rapporti con le istituzioni. Ma che ne sarebbe stato di tutto questo se avessi avuto un carattere diverso? Se mi fossi piegato alle paure e al ‘buon senso’ che si cercava di instillarmi? Probabilmente starei facendo altro.

E sicuramente lo starei facendo male, perché se (almeno finora) la mia vita in Islanda è stata una vita di soddisfazione e realizzazione, lo devo in larga misura alla passione che mi ha animato per questa terra e per la sua cultura. Ormai viviamo in una realtà in bilico tra la catastrofe climatica e la guerra nucleare. E allora, è quantomeno ingenuo pensare di potersi assicurare una qualche tranquillità rispetto al futuro andando a fare le scelte giuste, dove per ‘giuste’ si intende le scelte che ci sembrano a priori offrire le garanzie migliori di trovare un lavoro sicuro e una stabilità permanente. Con l’entrata in gioco dell’intelligenza artificiale, ormai, qualsiasi percorso intrapreso finalizzato all’apprendimento di una determinata professione rischia di diventare obsoleto prima ancora di averlo concluso.

In quest’ottica, non è più possibile né desiderabile indirizzare forzosamente i giovani a percorsi di studio o professionali che, secondo i nostri (probabilmente assai fallaci) calcoli, offrirebbero loro garanzie. Dobbiamo accettare che la realtà di oggi non è più la stessa dei decenni passati, e imporre la formula dei decenni passati ai giovani di oggi significa indirizzarli al fallimento, nonché condannarli alla frustrazione e al rimpianto. Non ha nemmeno senso spaventarli con l’idea che il successo nelle proprie passioni sia una prerogativa di pochi, perché a nessuno di noi è dato sapere se un giovane è destinato o meno a fiorire nel campo che si è scelto.

Io stesso ero tra quelli che si sentivano dire che sono veramente pochi quelli che riescono a seguire carriere non convenzionali, ma la verità è che, se non si cercasse di tarpare le ali ai giovani incutendo loro paura verso il futuro è instillando dubbi rispetto alle loro aspirazioni, questi individui sarebbero molti di più. Non si tratta di abbandonare i giovani alle loro scelte, perché qualunque passione uno abbia, può sempre beneficiare di un supporto e dell’esperienza delle generazioni passate, adattandola ai nuovi contesti. Va però riconosciuto che il mondo di oggi non è lo stesso di ieri, ma presenta circostanze e sfide talvolta molto diverse.

La mia generazione sta completamente perdendo la speranza di una casa, di uno stipendio adeguato ai costi della vita o della possibilità di creare una famiglia, e le prossime non sembrano da meno. Il mondo digitale offre opportunità inimmaginabili di sviluppo e realizzazione personale. Ci sono content creator che guadagnano milioni facendo divulgazione storica e culturale, svolgendo un servizio lodevole per la comunità equiparabile a quello di documentari degli anni d’oro della televisione, e tanti di loro non hanno nemmeno potuto studiare gli argomenti oggetto della loro passione, proprio perché spinti o obbligati a studiare qualcosa di più assennato, mica le lettere classiche o l’antico islandese.

A quanti giovani è negato quel senso di appagamento che deriva dal realizzarsi nelle proprie passioni? Magari pretendendo che abbiano già una carriera avviata e definitiva quando ancora ventenni, proprio nel momento migliore che avrebbero per esplorare, tentare, fallire, crescere e capire meglio chi sono, quali sono le loro potenzialità e cosa vogliono. Nessuna scelta assennata, per quanto azzeccata, può curare il rimpianto di non aver plasmato la propria esistenza, preferendo seguire un copione scritto da altri. Eppure non è mai troppo tardi per ricominciare: la durata della vita si è talmente allungata che è ridicolo aspettarsi da un ventenne di inserirsi in un contesto e rimanerci tutta la vita, quando ormai l’aspettativa media va verso i 90 anni. Non sappiamo cosa ci riservi l’anno che viene, figuriamoci i 60/70 a venire! Ai giovani, miei coetanei o ben più giovani, vorrei dire solo questo: non abbiate paura!

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su La Provincia

Caratteri rimanenti: 400