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E così ‘l’angelo della storia’ ora rischia la decapitazione

La crisi di liceo classico e studi umanistici: «Ma per capire il futuro va conosciuto il passato...»

16 Maggio 2023 - 05:25

E così ‘l’angelo della storia’ ora rischia la decapitazione

Sorpassato, retorico, antiscientifico, inutilmente pesante; e c’è solo in Italia. Il liceo classico, la scuola da cui per oltre un secolo è uscita la classe dirigente del Paese, ha un’immagine ormai poco brillante. Lo testimoniano le scelte degli studenti che frequentano l’ultimo anno delle medie inferiori: per la prima volta, in Italia, la percentuale di chi vuole andare al ginnasio è scesa quest’anno sotto il 6 per cento. Non è un problema dei licei in genere, che registrano anzi una crescita rispetto al 2022 e raccolgono nel loro complesso il 57 per cento delle iscrizioni: lo scientifico è stabile al 26 per cento, mentre il più diretto concorrente del classico, il liceo delle scienze umane, vola all’11 per cento. Tra i licei, la diminuzione di iscritti è dunque un fatto specifico del classico.

Gli altri ordini di scuola si muovono variamente: gli istituti professionali sono in calo, nel generale riflusso dell’onda enogastronomica che qualche anno fa, tra Fico (inteso come parco tematico) e le prime edizioni di Masterchef, è stata potente, distraendoci dalle rovine in cui è piombato il nostro Novecento industriale e riportandoci a un passato agropastorale in versione opportunamente rinnovata (e riverniciata, in modo da non farlo apparire un regresso). Di fatto, vent’anni fa o poco più i professionali attiravano un quinto delle preferenze, mentre oggi si scende al 12 per cento. Gli istituti tecnici invece sono ambiti (30,9 per cento), e in realtà dinamiche come la Lombardia (o l’Emilia, il Veneto, il Friuli) il dato è particolarmente alto e supera abbondantemente il 35 per cento.

A prevalere sono il settore tecnologico e quello economico, con una notevole crescita, in particolare, dell’indirizzo ‘Amministrazione, finanza e marketing’. Così, l’evoluzione degli assetti scolastici degli ultimi anni ci suggerisce una considerazione che potremmo esprimere in questi termini: varie volte abbiamo sentito appelli di ministri della Repubblica che, in forma più o meno diretta, chiedevano al sistema formativo di darci meno filosofi e latinisti e più fabbri ferrai, saldatori, fonditori e calderai. Credo si possa affermare che appelli di questo tenore hanno funzionato a metà: abbiamo certamente meno latinisti che in passato (e forse meno filosofi), ma abbiamo anche meno fabbri e meno fonditori. Il declino non riguarda solo il liceo classico, ma anche gli istituti professionali.

Non è invece in crisi l’istruzione liceale nel suo complesso: più ramificata di un tempo, ha ampliato e reso più capillare l’offerta, ha semplificato qua e là requisiti e obiettivi e ascolta efficacemente le aspirazioni educative di buona parte dei ragazzi e delle famiglie. Gli indirizzi scientifici e tecnologici hanno una posizione solida, sono oggetto di attenzione crescente, danno una preparazione mediamente accurata. Il classico invece langue: pochi diplomati, spesso meno attrezzati di un tempo e non motivati a proseguire gli studi umanistici all’università. La debolezza di quella che fu la regina delle scuole la mette sotto assedio: immancabile la proposta di salvifiche riforme, termine inquietante con cui di solito s’intende lo smantellamento dei pochi punti di riferimento che prima consentivano di non affondare.

Tipica l’annosa ostilità per il pilastro educativo del liceo classico, la versione dalle lingue antiche all’italiano: esercizio di precisione concettuale, utile pratica di scrittura nella lingua d’arrivo, argine all’approssimazione e alla cialtroneria. Pochi però ormai l’apprezzano, e il fatto che qualche classicista di grido sia a favore della sua abolizione non le rende la vita facile. Si va verso forme più annacquate di contatto con il testo, simili a quelle del liceo delle scienze umane: si continuerà a leggere un carme di Catullo o un brano dell’Eneide, ma solo in traduzione italiana, gettando ogni tanto un’occhiata ai versi latini stampati sulle pagine pari. Abbiamo cominciato prospettando il declino del classico, in termini di calo di iscrizioni. Se si guarda alla sostanza formativa si tratta però di un vero e proprio naufragio.

Ma facciamo uno sforzo di ottimismo e diciamo che quello a cui si assiste è un cambiamento profondo nei modi di apprendere e d’insegnare. Perché è avvenuto? Vale ancora la pena studiare il greco, il latino, la filosofia e la storia antica? Un tempo era in voga un ampio repertorio di formule giustificative: il latino apre la mente, il liceo classico dà un metodo di studio universale e così via. Pur ripetitive, e quindi un po’ vacue, queste formule contenevano frammenti di verità.

Ma il punto è un altro, perché i vantaggi personali di chi ha la fortuna di avere una buona formazione classica sono ovviamente fuori discussione: il sedicenne che legge Platone e Cicerone lo fa per sé, per la propria maturazione ideale e intellettuale, e non per un’azienda o per un potenziale datore di lavoro. Bisogna spostarsi su un altro piano, quello della società occidentale nella presente fase storica: è questa che decide gli strumenti di formazione adeguati ai propri assetti. E fra gli strumenti attuali c’è poco spazio per lo studio del passato: è la logica dell’innovazione tecnologica, della finanza, della cancel culture, della crisi delle discipline storiche come mezzo di comprensione della realtà. L’angelo della storia, la cui testa è volta all’indietro, rischia ora la decapitazione.


È inevitabile che in un contesto simile il liceo classico, quello che mette in contatto il giovane studente con la lunga durata della cultura occidentale, non se la passi troppo bene. Ma le società cambiano, e il desiderio di storia non è morto. Un segnale va colto nel successo del liceo delle scienze umane, che ha i suoi aspetti positivi: chi lo sceglie non vuole rinunciare del tutto alla possibilità di guardare dietro di sé. Sulla traccia di questo gesto, e del bisogno fondamentale che esso esprime, gli studi classici possono ritrovare la funzione che loro compete nella società.

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