L'ANALISI
23 Maggio 2023 - 05:20
Avete presente quei film dove il protagonista rivive continuamente la stessa giornata fino a quando riesce a trovare la soluzione che consente di spezzare il loop e portare al lieto fine? Ecco: ogni volta che una tragedia ambientale si abbatte sul nostro Paese si ha quasi l’impressione di essere parte di questo tòpos cinematografico, senza però intravedere ancora il lieto fine.
Il copione è sempre più o meno lo stesso: grande risalto alle questioni ambientali; quando va bene, si leggono dichiarazioni sulla necessità di investire in prevenzione e adattamento rispetto al clima che cambia; quando va male, si riconduce tutto a semplice maltempo. Il risultato, però, oltre alle sacrosante mobilitazioni per aiutare le popolazioni colpite, è spesso un ritorno alla normalità privo di effetti reali. Ma il punto è proprio questo: è il concetto stesso di normalità che non regge più alla prova dei fatti. Una delle certezze dei cambiamenti climatici è che l’eccezione sta diventando la regola: gli eventi atmosferici estremi sempre più frequenti sono tra gli effetti più chiari del riscaldamento globale.
Basti osservare gli ultimi anni per vedere che ci troviamo davanti a un trend inequivocabile: nel 2010 gli eventi estremi registrati in Italia erano meno di 500, nel 2020 circa 1200 fino al picco dello scorso anno dove ne sono stati riscontrati più di 3000. Ciò che noi consideriamo normalità, equivale a una relativa stabilità degli eventi climatici. Ed è precisamente questa regolarità che stiamo rapidamente perdendo.
Le implicazioni per le società umane sono enormi. Il periodo geologico in cui ufficialmente ci troviamo, l’Olocene, è un’epoca interglaciale iniziata 11.700 anni fa e caratterizzata da relativa stabilità. È grazie ad essa che l’uomo ha potuto fare affidamento all’agricoltura, abbandonando progressivamente il nomadismo per la sedentarietà e sviluppare così società sempre più complesse. In altre parole, la vita umana per come la conosciamo oggi è progredita anche grazie alla regolarità del clima.
La scienza, però, ci dice anche che le condizioni stazionarie e moderate dell’Olocene non sono che una brevissima parentesi di stabilità climatica all’interno di una normalità caratterizzata da condizioni estreme. Qui risiede uno degli aspetti più importanti — e forse meno considerati — messi in luce dalla comunità scientifica: l’azione dell’uomo sul clima ha messo il pianeta su una traiettoria climatica che ci sta rapidamente portando fuori dalla stabilità dell’Olocene (non a caso è nato un ricco dibattito sul fatto che ci troviamo ormai in una nuova era geologica, l’Antropocene, appunto), in un territorio completamente inesplorato, in cui nessuna società agricola o industriale si sia mai trovata. Traiettoria che, tra l’altro, non è lineare, ma esponenziale, chiarendo il perché del continuo aumento degli eventi climatici estremi e, soprattutto, rivelando un’altra drammatica conseguenza: più si aspetta, più si rimanda, più si racconta che abbiamo tempo e più costoso e difficile sarà adattarsi al nuovo mondo.
Se dalle ere geologiche si torna alla quotidianità, non si può che riscontrare quanto siamo ancora indietro e del tutto impreparati a reagire a queste sfide, a maggior ragione se si considera che l’Italia, per la sua posizione geografica e la natura del suo territorio, è particolarmente vulnerabile agli effetti dei cambiamenti climatici. Basti pensare che, guardando proprio al dissesto idrogeologico, il Rapporto Ispra 2021 indica che circa il 94% dei comuni italiani è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera, esponendo a pericoli elevati più di 8 milioni di persone (di cui quasi 7 ad alluvioni), con l’Emilia-Romagna al primo posto. Già solo questo dato dovrebbe innescare una seria e approfondita riflessione sull’urgenza di stravolgere completamente l’approccio con cui si guarda a queste materie. Se poi si aggiunge che, nonostante il contesto già complicato, in Italia manca ancora una legislazione omogenea in materia di dissesto idrogeologico, mentre è addirittura totalmente assente in un ambito determinante come il consumo di suolo (la proposta di legge è bloccata in parlamento dal 2016), l’esigenza di un cambio di passo diventa ancora più pressante. Nel periodo recente, i danni da dissesto idrogeologico nel nostro Paese sono stati stimati in più di due miliardi l’anno, senza contare il numero di persone che hanno perso la vita: sono numeri destinati ad aumentare se prevarrà l’inerzia. L’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna, la più grave degli ultimi cento anni, conta già, da sola, tra i cinque e gli otto miliardi di perdite secondo le primissime stime. Dopo l’ennesimo disastro non possiamo più permetterci un ritorno alla normalità. Quella di prima non esiste più e quella nuova avrà come costante l’instabilità.
Prima lo si accetta, prima avverrà quel cambio di prospettiva che è la precondizione fondamentale per elaborare soluzioni in grado di spezzare il time loop in cui, per ora, restiamo tragicamente intrappolati.
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