L'ANALISI
L'OMICIDIO DI CASTELLEONE
13 Agosto 2022 - 16:50
Nel riquadro Erica e Gianni
CREMA/CASTELLEONE - Sono le note dell’Ave Maria di Schubert che risuonano nella chiesa parrocchiale di San Benedetto e arrivano sino in piazza Garibaldi a Crema, a far da sfondo all’ultimo saluto di centinaia di amici, parenti e affetti a Giovanni Senatore, per tutti Gianni. Due comunità, la cremasca che l’ha visto crescere e la castelleonese che l’ha adottato, strette in un caloroso abbraccio alla compagna Erica, che sarebbe divenuta presto sua moglie, e ai suoi piccoli Dylan, Kevin e Thomas.
A dicembre Gianni ed Erica si sarebbero dovuti scambiare di fronte a lui gli anelli e le promesse d’una vita insieme. Invece a don Giambattista Piacentini, incredulo non meno di chiunque altro, tocca l’onere gravoso di accompagnare Gianni nel suo ultimo viaggio. La vita stroncata troppo presto, ad appena 40 anni, dalle coltellate inferte dal suo omicida Mauro Mutigli, ora in carcere a Cremona. Ma non c’è stato spazio, né sul sagrato né fra le navate, per l’odio. Regnano ancora lo choc e l’incommensurabile dolore.
«Difficile dire parole che non siano consuete», principia così dal pulpito don Piacentini. La voce ferma che tradisce comunque il velo di tristezza e commozione: «Oggi in tanti salutiamo Gianni. E saremmo piccoli se ci fermassimo a condividere solo la sofferenza. La sofferenza può diventare provocazione per capire che la nostra vita ha una metà ancora più lontana, l’incontro con il Signore. Eppure siamo qui e ci chiediamo cosa sia successo. Noi siamo qui insieme per dire a Gesù che non riusciamo a capire cosa è successo. La ragione non c’è di fronte alla cattiveria umana».
Un momento atroce che non deve però lasciare spazio alla disperazione: «Gesù non era assente nella vita di Gianni quando esalava l’ultimo respiro. Gesù non è un mago che risolve i nostri affanni. Li condivide. Chiedo a voi come chiedo a me stesso di fare come i due discepoli di Emmaus, di sperare e non sentirci abbandonati. La parola di Dio ci racconta il bene oltre il male».
Non è facile rincuorare due città che piangono la vittima di un omicidio. L’arciprete lo sa. Non è casuale l’appello del parroco perché si chiuda subito, prima che possa nascere, il cerchio della violenza e dell’odio: «Cerchiamo di essere più buoni, di essere migliori. Esaltiamo il nostro cuore. Abbiamo bisogno di respirare il bene, di non lasciarci vincere dal male. Anche se sentiamo rancore verso chi ha commesso il delitto, non mettiamoci sullo stesso piano di chi fa il male. Dobbiamo essere più grandi, più forti».
Le lacrime, e le versano davvero in molti, lasciano brevemente il posto al sorriso quando nelle parole del sacerdote rivive la figura di Giovanni. È un po’ come se quel gigante buono, come lo chiamavano tutti, fosse tra i banchi: «Ho conosciuto Gianni nel percorso di preparazione al matrimonio. Ha avuto il coraggio di raccontarmi, di raccontare a tutti, che nella vita si fanno tante cose, forse alcune sbagliate, ma che tutto questo non importava di fronte al suo più grande desiderio, quello di mettere su famiglia e vivere sereno. Si è fatto padre di Dylan ma anche di Thomas e Kevin, che lo hanno sempre chiamato papà. Li accompagnava anche all’oratorio, al catechismo. Sapeva che era giusto respirassero quelle parole di bene che sconfiggono il male».
Infine don Piacentini si fa portavoce del messaggio di tutti. Di Erica, dei piccoli, degli amici, di chiunque abbia conosciuto Gianni anche solo per un istante: «Aveva un cuore grande. Una finezza umana e spirituale che l’hanno aiutato a maturare e a crescere. Sarà sempre accanto a noi».
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