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Malato di Parkinson trattato come un ‘peso’

Betty Faustinelli

Email:

bfaustinelli@laprovinciadicremona.it

31 Ottobre 2013 - 10:05

Malato di Parkinson trattato come un ‘peso’
Scusi se approfitto del suo spazio per questo sfogo pieno di rabbia e di dolore, ma in questa lettera raccolgo altre voci di persone che come me hanno o hanno avuto vicino un malato di Parkinson, malati «scomodi». Tutto inizia mesi fa quando mia madre si accorge che mio padre affetto da morbo di Parkinson ha perdite di sangue nelle feci, viene ricoverato per accertamenti in un ospedale, in un reparto (per volere della mia mamma non specifico quale ospedale, quale reparto) dove dopo due settimane viene dimesso in pessime condizioni e ‘decubitato’ con la diagnosi di gastrite (allettamento forzato, contenzione legato mani e piedi)...
Siamo riusciti dopo vari tentativi, perché «vista la malattia» il ricovero «per questi pazienti» è molto difficile, a ricoverarlo per un mese in clinica riabilitativa al Soldi. Qui hanno riscontrato e tamponato il problema anemia, ma tornato a casa il problema non era certo risolto, purtroppo in seguito ad un mio problema di salute non ho potuto seguire il papà per più di un mese, dove mia mamma ha continuato a segnalare il problema al medico di base (quando era presente) e sostitute varie; la situazione si aggrava le perdite di sangue erano presenti anche nelle urine, chiediamo ripetutamente che siano fatti esami specifici, papà è sempre più debole. Chiamo una mattina il medico di base, mi risponde una dottoressa che si presenta come la sostituta della sostituta che mi «suggerisce» di portare il papà all’ospizio!
Il giorno dopo vado all’Asl per una denuncia o richiamo verbale; il giorno dopo ancora vengono effettuate le prime analisi, solo delle feci per carità. Mio padre adesso è all’hospice (...). Quello che non mi spiego è perché un malato di Parkinson di 80 anni sia un condannato a morire, perché i professionisti si arrendono davanti ad una certa età o «con questa malattia»: per tutti la soluzione è l’ospizio dove farli morire... Grazie direttore anch’io lavoro in campo sanitario e mi vergogno a volte di quello che vedo...
Milena
(Cremona)

Difficile aggiungere qualcosa a questa lettera. Resto del parere che fino a quando non si passa attraverso esperienze di questo tipo non si può capire realmente quello che si prova. Stiamo parlando della dignità delle persone, in questo caso di un genitore. Alla Sanità — intesa come servizio di assistenza —non si chiedono miracoli ma la cura e l’attenzione ai malati. E non solo dal punto di vista medico. Generalizzare non è mai bello e so bene che la stragrande maggioranza di chi lavora nella sanità fa il suo dovere, ma di fronte a certe vicende è difficile frenare la rabbia.
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