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Francesca Maccani, Antigone era una sigaraia

La ribellione a condizioni di lavoro umilianti in un tabacchificio di Palermo nell’Italia post unitaria, ma soprattutto la storia di un’amicizia al femminile

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

10 Agosto 2022 - 05:25

CREMONA - «Sono le mani delle fimmine, chiste mani cca, che mandano avanti il mondo». Ne è talmente convinta Franca che, nonostante nessunissima preparazione culturale o politica, decide di mettersi in gioco per recriminare il diritto di vivere e lavorare senza subire l’ingiustizia di una situazione umiliante e persecutoria. Di mettere a rischio tutto ciò che ha, compresa l’amicizia, pagando poi un prezzo altissimo. Franca - come altre centinaia di donne - è sigaraia nella manifattura di Palermo ed è la protagonista del romanzo storico (ma che potremmo definire anche degli affetti) di Francesca Maccani «Le donne dell’Acquasanta». L’autrice ne parla nella videointervista per la rubrica «Tre minuti un libro», curata da Paolo Gualandris, online da oggi sul sito www.laprovinciacr.it.


Palermo, 1897. Lavorano in coppia, in sincrono perfetto, Franca e Rosa: le dita sottili ed esperte arrotolano foglie di tabacco da mattina a sera. Amiche da sempre, le due ragazze sono cresciute insieme in un borgo di pescatori spalmato ai lembi della città, accanto alla Manifattura Tabacchi. Le due ragazze lavorano in condizioni disastrose. «Pur essendo delle privilegiate - spiega l’autrice-, perché percepivano uno stipendio regolare, per quanto a cottimo. E nella fase storica dell’Italia post unitaria non era scontato, specialmente per le donne, poter disporre di una paga sicura. Lavorano però in condizioni igieniche precarie, con i loro figli neonati al collo e i bambini lì accanto. Vengono sfruttate, vessate, l’ambiente è patriarcale, maschile, alcune di loro subiscono anche molestie. Però in questo contesto così deprivato, così faticoso, alcune di loro cominciano ad alzare la testa, rivendicare i diritti e chiedere delle migliori condizioni di lavoro».


È di fronte all’ennesimo sopruso che Franca decide che è ora di lottare per un diritto che alle femmine sembra negato: la dignità. Così, insieme a Rosa e Salvo, un sindacalista che ha il suo stesso spirito indomito e appassionato, combatterà per aprire un baliatico all’interno della Manifattura, uno dei primi asili per i figli delle lavoranti in una fabbrica nel Regno. E scoprirà il prezzo da pagare per difendere le proprie idee e il proprio amore. Una storia vera, di riscatto e amicizia, che illumina una battaglia pionieristica e ancora sconosciuta.


Anche se, almeno all’inizio, è osteggiata dalle stesse vittime di questa situazione: le sue colleghe. «Mi è capitato di riflettere sul fatto che le prime a opporsi al tentativo di miglioramento delle condizioni di lavoro sono proprio le donne stesse. Mi è venuto in mente un po’ il mito della caverna: quando trovi qualcuno che tenta di liberarsi dalla sua condizione di asservimento, i gruppi e le persone ti guardano con diffidenza perché ognuno di noi, per quanto a volte non sia felice e non stia del tutto bene, in realtà ha una propria zona di comfort e per il timore di perdere l’abitudine a quello che ha preferisce non rischiare con il cambiamento. Quindi a me piaceva sottolineare anche questo aspetto». Franca e Rosa sono due ragazze diametralmente opposte che però si completano. Diverse come il sole e la luna, impetuosa la prima, timida l’altra. Respirano però insieme tutto il giorno l’aria greve della fabbrica, sotto lo sguardo predatorio dei padroni.


«Franca un po’ ricalca quella che ero io - sorride Maccani -. Ora un po’ meno, perché poi un pochino mi sono calmata. Però mi richiama un personaggio che io amo moltissimo, Antigone, perché è colei che ha il coraggio di ribellarsi a regole ingiuste, poste da un maschio, che vanno contro natura. E Franca riveste un po’ il ruolo di Antigone, perché è colei che si accorge che qualcosa va troppo storto rispetto alla natura delle cose e quindi propone un cambiamento, una ribellione, addirittura uno sciopero. Rosa mi piace perché invece è quello che vorrei essere, più riflessiva, più calma. È colei che placa un po’ gli ardori di Franca».


L’accento di Maccani non è siciliano ma ha scritto una storia molto palermitana, usando spesso termini gergali. «Sono nata e cresciuta in Trentino, dove ho abitato fino a 36 anni. Poi mi sono trasferita a Palermo, perché colui che nel frattempo diventato mio marito, lui pure trentino, ha scelto di portare l’attività di famiglia in Sicilia. Io insegno e per una questione di sopravvivenza il dialetto è la prima cosa che ho imparato: all’inizio ho lavorato nei quartieri più degradati della periferia palermitana, dove il dialetto la fa da padrone: poter comunicare con i miei ragazzi era per me assoluta priorità. Come se non cercando di capirli? Considerando il contesto che stavo raccontando, mi piaceva molto l’idea di inserire questo intercalare per rendere comunque più realistica la storia: a quel tempo a Palermo l’85-90% della popolazione non conosceva che il dialetto».

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