L'ANALISI
03 Agosto 2022 - 05:25
CREMONA - «In Michail una certezza che l’avrebbe accompagnato per sempre: quel gioco non era soltanto una tregua per esuli e lavoratori; era la paziente tessitura di un altrove, un mondo nuovo, dove fucili e bastoni non costringevano gli alfieri a muoversi e la vittima era in grado di rifarsi sul carnefice. Un’altra occasione: girare il tavolo, pretendere rivincita, esattamente quanto la realtà negava». Perché una partita di scacchi non è solo una partita di scacchi, come fa capire Giorgio Fontana nel suo romanzo «Il Mago di Riga», Michail Misa Tal’, il più giovane campione del mondo di prima di Kasparov. Lo scrittore, premio Campiello con il suo precedente, splendido, «Morte di un uomo felice», ne parla nella videorubrica «Tre minuti un libro» curata da Paolo Gualandris, online da oggi su www.laproviciacr.ir.
«Per come io l’ho immaginato - spiega Fontana - Tal’ è l’edificazione di un mondo altro, come peraltro è possibile far con moltissimi giochi. E nel concetto di gioco in tal caso metto metto anche le arti e la letteratura stessa: quando leggiamo un buon libro siamo attratti da un fatto di credibilità con la narrazione. E questa è una cosa preziosissima: c’è chi vive la letteratura o i giochi in maniera superficiale, invece ritengo che debbano essere vissuti come come lo faceva Tal’, con maniera radicale». E poteva farlo perché era decisamente un uomo fuori dall’ordinario. Una delle sue amanti dice di lui: «L’ho visto subito quando ci siamo incontrati, è qualcosa che a un’attrice non sfugge, basta la tua presenza a rischiarare l’atmosfera come se, non so, qualcuno mettesse un fiore nel vaso di una stanza deserta».
Fontana racconta, a suo modo e liberamente, la vitalità e l’esistenza disordinata di Tal’ impegnato nella sua ultima partita prima di morire nel 1992 a 56 anni, afflitto da varie, gravi malattie, ma mai rinunciando alla sua vena umoristica e al suo amore per la vita tutta da dissipare. Affrontava gli scacchi come gioco, arte, invenzione, complicazione, aldilà della necessaria razionalità, diventando famoso per la sua predilezione per un certo disordine e il sacrificio dei pezzi andando «sempre all’assalto», tutto vissuto anche come una metafora esistenziale. Per lui, l’essenza del giocare «era sovvertire l’ordine delle cose», nato in un paese, la Russia sovietica, in cui invece gli scacchi erano diventati un’educazione alle regole della vita e alla forza di volontà, da contrapporre alle debolezze occidentali.
Fontana incentra il suo racconto, non lungo ma capace di concentrare in sé e riverberare tutto un mondo, una società, praticamente nel resoconto e ricostruzione di una sola partita, quella di Tal’ col giovane armeno Vladimir Akopian, che lo ha sfidato e poi, in difficoltà, propone di considerare patta la partita, cosa che lui rifiuta sino ad arrivare a vincerlo. Dopo la gara fu ricoverato in gravi condizioni a Mosca, dove morì il 28 giugno, essendo però nel frattempo riuscito a scappare dall’ospedale per partecipare a un torneo lampo in cui sconfisse l’allora campione del mondo Kasparov. Un personaggio assolutamente unico. «Mi ha attratto proprio per questo - sottolinea lo scrittore -. Immaginiamo i giocatori di scacchi tutto cervello, invece Tal’ era uomo estremamente legato ai piaceri terreni, caratterizzato da un’aura che notavano tutto, dotato di un carisma fortissimo. Lo trovo un personaggio straordinariamente romanzesco».
Misa, con quel suo stupefacente istinto e capacità di sintesi davanti a una scacchiera di cui intuiva tutte le possibili mosse future, amava molto bere, era capace di divertirsi, ebbe due moglie e varie amanti; leggeva libri e ascoltava la grande musica, era legato a Riga, la propria città, cui tornava sempre con gioia. Tutto questo però lo viveva con quello stesso spirito con cui affrontava gli scacchi, «sacrificando pezzo dopo pezzo, complicando ogni posizione sino alla spasimo, quasi volesse dilaniarla», sacrificarsi, lottare con dolori e malesseri, per poi invece primeggiare, muovendo i pezzi con la sua mano che, per un difetto congenito, aveva solo tre dita.
E mentre la partita procede ecco rapidi, intensi ricordi, flash back sulla vita di Tal’ e la nascita della sua passione. Una vita insomma cui cercar di dare scacco matto, anche se si sa che alla fine si perde, quindi una sfida anche autodistruttiva di chi vive, certo, pure con intensità, ma come fosse in una dimensione tutta sua in cui l’unico vero fine è il gioco, che lo ha reso personaggio mitico, e per il quale sopporta inaudite sofferenze. «E fu un numero uno del mondo inconsueto anche per perché si riteneva che il campione sovietico dovesse essere un uomo maturo sposato e idealmente affine al regime. Lui era tutt’altro: estroso sorridente pasticcione e non poteva digerire le chiacchiere della propaganda», specifica Fontana. Era anche molto generoso di sé con gli altri «ed estremamente gentile, caratteristica che lo contraddistingueva in un mondo molto competitivo come quello degli scacchi».
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