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3 MINUTI 1 LIBRO

Francesco Muzzopappa, se morire ha un lato comico

Il salace testamento di un uomo che premia chi ha meritato il suo affetto e punisce senza pietà tutti gli altri: è l’atto più liberatorio di un’intera vita

Paolo Gualandris

Email:

pgualandris@laprovinciacr.it

20 Luglio 2022 - 05:25

CREMONA - «Shakespeare ci insegna che una commedia può includere una tragedia mentre non può essere il contrario. E Woody Allen spiega che a un certo punto gli umoristi devono scrivere una commedia seria. Questo mio è il tentativo di seguirne il consiglio, cioè faccio i conti con la tragedia della vita, la morte, però da un punto di vista comico». Francesco Muzzopappa, giovane scrittore umoristico cult, racconta il suo nuovo romanzo «Sarò breve» (180 pagine di testamento tra l’agrodolce e il surreale di un uomo prossimo alla morte: 180 pagine, già qui c’è del comico, no?)   nella videointervista per la rubrica «Tre minuti un libro», a cura di Paolo Gualandris, da oggi online sul sito www.laprovinciacr.it.

 

 

Un testamento «perché è la resa dei conti, è forse l’atto più liberatorio dell’intera vita, forse il momento in cui possiamo permetterci di essere noi stessi al 100% senza temere vendette, ritorsioni e ripicche. E soprattutto, le ultime volontà non prevedono un contraddittorio». A redigerlo è Ennio Rovere, che ha impiegato l’intera esistenza a costruire un sogno e ci è riuscito mettendo su un mobilificio di successo in Brianza. Una vita non sempre facile, ha avuto amori più o meno fortunati, mogli più o meno fedeli, figli più o meno litigiosi, collaboratori più o meno capaci. Ora ha finalmente l’occasione di rimettere tutti a posto: dalla prima moglie all’esuberante donna di servizio, dal figlio minore allo zelantissimo autista, dal dentista al cane devoto.

 

 

Con la scusa di distribuire equamente il suo patrimonio, ripercorre per iscritto la propria esistenza, intrecciando dinamiche familiari e lavorative, premiando quanti davvero hanno meritato il suo affetto e punendo senza pietà tutti gli altri, senza risparmiarsi neppure nel giudizio. «Il sarcasmo, il tono caustico, la mancanza di argini e la mole esagerata di ricordi aggrappati saldamente alla mente di Ennio - spiega Muzzopappa -, contribuiscono a creare un testo che è una via di mezzo tra una saga famigliare e una lunga lettera d’addio, con quelle stilettate di humour nero che adoro in Mel Brooks, quei colpi in punta di fioretto che sottolineo in Patrick Dennis, quelle falciate a colpi di machete che amo in Fran Lebowitz».


Un raccolto agrodolce condito con molte salse. Lo sfondo comico è permeato di battute molto perfide di stampo britannico, fatto di sottintesi in cui il lettore deve accendere il cervello  per capirle. «Si ride molto di testa, e questa è forse la mia dannazione: i libri che restano per me sono  quelli che fanno ragionare anche sulle battute». I giochi di parole che spesso impiega sono invece la base dell’umorismo italiano; il sarcasmo che dispensa a piene mani è di stampo americano, «che poi è quello che riscontriamo molto spesso nelle serie tv». Infine, ma non da ultimo, c’è l’umorismo ebraico, «quello autolesionista che permette di fare i conti con noi stessi, abituati come siamo, anche attraverso i social, a prenderci sempre troppo sul serio».

 


Muzzopappa come primo mestiere fa il copywriter, e si «sente», leggendolo: «So perfettamente, essendo abituato a scrivere spot pubblicitari da 30 secondi, da 15 ma anche da 7, che non ho sempre l’attenzione di chi mi guarda, quindi devo conquistare il lettore a ogni frase: sono anche abituato anche a non affezionarmi troppo alle parole: se c’è da riscrivere un intero capitolo, non mi faccio brillare in piazza Duomo per la volontà di mantenere ogni parola, lo butto e riscrivo. Per me le parole sono pezzi di ricambio, l’importante e usare un ottimo dizionario e cercare di costruire le battute in modo tale che tengano alto il ritmo».

Per  trovare questa capacità «leggo tantissima narrativa umoristica. Così si impara a maneggiare le battute che sono nient’altro che delle equazioni perfette. Quindi diventa una sfida con me stesso cercare di mettere all’interno dei miei romanzi un frullatore di battute che non facciano solo ridere me. I miei libri forse non sono degli specchi veri e propri in cui rivedersi, ma lenti deformanti che attraverso l’ironia riescono a rendere le frustrazioni, le ingiustizie, la tristezza e la mancanza di prospettive più sopportabili del normale».

 


 

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