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Libro poetico e di fascino sulla nascita dell’impressionismo

Jean Renoir racconta«mio padre pittore»

Gigi Romani

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02 Febbraio 2016 - 16:46

Jean Renoir racconta«mio padre pittore»

Un libro fascinoso e intenso su una delle figure più interessanti della pittura impressionista e sulla Parigi e la Francia di quegli anni. Una sorta di diario partecipe e per certi versi incantato che, raccontandoci il quotidiano e l’eccezionale, insegue il mistero dell’arte e il senso della genialità creativa, non arrivando mai a rivelarlo con una chiara definizione, ma facendolo emergere con poesia da mille notazioni umane e di vita di un vecchio che è vissuto sempre in gran semplicità solo per dipingere, diventando parte essenziale della storia della moderna cultura europea. Il figlio, ferito, si muove a malapena con le stampelle, il padre è costretto da tempo su una carrozzella, quindi hanno tutto il tempo di parlare. Emerge l’atmosfera di una Parigi pre modernità, illuminata ad olio, senza acqua corrente, ma già con artisti poveri sulla collina di Montmartre e pronti a divertirsi e ballare al Moulin de la Galette, come testimonia un celebre quadro del trentacinquenne Pierre-Auguste del 1876. La povertà come condizione naturale, l’impegno nel dipingere sempre, gli amici artisti e letterati, le prime mostre, le feroci e ironiche critiche dei pittori e studiosi accademici che deridevano la pittura impressionista, i conoscenti e le persone importanti. «Quando penso che avrei potuto nascere da una famiglia di intellettuali! Mi ci sarebbero voluti anni per sbarazzarmi di tutte le loro idee e vedere le cose come stanno», dice al figlio. E così appare illuminante l’ultima sua frase, pronunciata in punto di morte nel 1919: «Credo di cominciare a capirci qualcosa». E se Renoir girò tutta la vita senza dare alcuna importanza all’abito, con i suoi camicioni da pittore, tanto da trovarsi in viaggio più a suo agio in treni di terza classe che guardato con sospetto dai signori della prima, l’amico Claude Monet teneva invece moltissimo all’aspetto e a un’eleganza raffinata, da dandy. Con Maupassant si davano reciprocamente del «pazzo» e se questi del pittore diceva «vede tutto rosa», l’altro dello scrittore diceva «vede tutto nero», mentre si divertiva a scandalizzare Zola, che mal sopporta. Ma gli episodi, gli aneddoti, le notazioni e i pensieri in queste pagine sono infiniti, con sempre la presenza di una tela, del cavalletto, dei colori e quando un medico riesce a farlo rialzare a fatica dalla sedia a rotelle, rinuncia replicando: «Questo prende tutta la mia volontà e non me ne resterebbe più per dipingere».

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