L'ANALISI
Sogni e speranze delle detenute, viaggio tra lingue e culture diverse
08 Agosto 2014 - 15:25
Non esistono barriere per la poesia, neppure quelle delle mura di un carcere: per rendersene conto basta leggere il libro ‘Aspetto l’attesa e spero la speranza’ che raccoglie i pensieri di alcune detenute. Il libro costituisce il felice esito del corso ‘Poesie a Rebibbia’ a cui le detenute hanno partecipato dal novembre scorso con una straordinaria adesione. «Sono poesie strappate dalla vita, per questo non hanno retorica», spiega Plinio Perilli, curatore del libro e docente del corso insieme con Nina Moroccolo, «e l’intreccio linguistico ed emotivo di questi scritti è lo specchio di ciò che avviene nel nostro Paese». Dall’Italia al Burundi, dalla Nigeria alla Romania fino alle Filippine: il libro offre infatti l’opportunità di un inedito viaggio non solo tra le parole ma anche intorno al mondo, mescolando culture, saperi e «colpe» diverse. Tanti i temi affrontati, tra il dolore, l’amore e la fiducia in un futuro ancora possibile, grazie anche a un carcere che non solo punisce ma è in grado di riabilitare alla società. C’è Grace, che consegna a un pappagallo alla finestra la speranza di «arrivare ai suoi figli in Africa», mentre Samanta «con le sue ferite soffre in silenzio chiusa nel gelo di una cella». Yasmine, italianissima nonostante il nome, non vuole più nascondersi «dietro una terapia per non pensare», mentre Linda grida tutto il suo dolore quando afferma «io credo che la vita non è fatta per me».
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