«Dio mio che razza di storie riserva la vita quotidiana», esclama uno dei due protagonisti di q ue s t ’ultimo romanzo di Mario Vargas Llosa, aggiungendo che sanno più di telenovelasudamericana che di grande letteratura classica, pur nonapparendolontane da Zola, Dickens o Dumas. Tutte le storie, ridotte allo scheletro, possono sembrare un fotoromanzo, è poi lo stile, la scrittura e il riuscire a farsi metafora che ne fanno qualcosa di diverso. Ed è quello che sempre accade con il premio Nobel per la letteratura 2010, uno degli ultimi grandi narratori per vivacità e umori, pensieri e dialoghi che coinv olgono da il lettore grazie a personaggi ben caratterizzati e vicende appunto avventurose e incredibili sino al finale a sorpresa, ma in fondo tanto realistiche da parlarci di noi e del mondo d’oggi. L’eroe discreto del titolo è infatti l’uomo qualunque, senza una grande storia o particolari successi, ma che quando si trova davanti a una scelta etica sa farla, non si tira indietro davanti alle minacce, si ribella e si dàda farecontro ricatti e prepotenze di chi è più ricco o potente. In questo romanzo sono due: innanzitutto, a Lima, Rigoberto, avvocato impiegato alle soglie della pensione, che il suo capo e amico Ismael vuole come testimone delle sue nozze segrete con la propria cameriera Armida, fatte per salvare il proprio patrimonio dalla distruzione che già tentano di farne i suoi figli senza arte nè parte; poi anche, a Piura, Felìcito Yanaquè, proprietario di una piccola ditta di trasporti con moglie e due figli, il quale riceve una lettera di minacce con un ragnetto al posto della firma, in cui gli si chiede di pagareil pizzo,echesi reca subito a denunciare il tutto alla polizia, intenzionato a non piegare mai la testa, come gliha insegnato suo padre, e a cercar conforto nelle braccia della sua amante fissae mantenutaMabel. Ledue vicende tanto lontane finiranno per intrecciarsi, quando Ismael, poco dopo il ritorno dal viaggio di nozze, muore e Armida, per sfuggire allapersecuzione deifigli di lui, va a rifugiarsi a Piura da sua sorella, dove Rigoberto, per mantenere la parola data, non se la sente di lasciarla sola. Siamo nel Perù di Vargas Llosa, naturalmente, e travolgendoci con la sua narrazione in fermento, le sue osservazioni e descrizioni, il suo leggero e armonico raccontare in più con una vena di ottimismo, denuncia un mondo dove i media sono cinici e superficiali e una società segnata da corruzioni e ingiustizie sociali, che però i suoi personaggi non accettano e che non appare molto diversa da tante altre parti del mondo, specie in questo momento di grave crisi economica internazionale. Sono pagine avvincenti non per colpi di scena o suspence create ad arte, ma proprio per l’arte con cui procedono e i fan di Vargas Llosa avranno subito notato che Rigoberto è lo stesso protagonista di un altro suo romanzo ‘L’elogio della matrigna’, come scopriranno che il miserevole sergente Lituma viene diretto da ‘La casa verde’. Così questo romanzo che si direbbe guardi al futuro con fiducia diventa una piccola summa del mondo del suo autore, quasi si trovasse a dover tirare le somme del suo lavoro e del suo impegno, un po’ come accade alla fine al povero ma indefettibile Felicito, mentre il figlio di Rigoberto sembra perseguitato da un elegante e inquietante personaggio che sembra rimandare a quella dimensione fantastica e soprannaturale che caratterizza tanta letteratura ispanoamericana. Paolo Petroni