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L'ANNO DELLA CHIESA CREMONESE

Intervista al vescovo Napolioni: «La crisi aumenta il bisogno, donate vera carità»

L’appello del presule ai fedeli: «Non ripiegatevi su istinti soggettivi: è il momento di sprigionare la fantasia della generosità impegnandosi per la pace e la giustizia»

Nicola Arrigoni

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narrigoni@laprovinciacr.it

30 Dicembre 2022 - 21:15

Intervista al vescovo Napolioni: «La crisi aumenta il bisogno, donate vera carità»

CREMONA - È una comunità in cammino, quella che racconta il vescovo Antonio Napolioni, guardando all’anno che termina e alle prospettive offerte dal nuovo anno che si apre. E nelle parole del Pastore che guida la comunità cremonese, c’è la visione di un mondo che cambia e con esso l’invito a cambiare noi tutti, avendo il messaggio cristiano come faro e guida.

Si chiude un anno particolarmente complicato: come è cambiata la Chiesa cremonese in questo anno, anche a fronte della recente e non ancora conclusa pandemia?
«Non è facile avere il polso di un cambiamento di popolo riguardo la fede, se non vogliamo fermarci a dati statistici o a scelte strutturali. Credo che coesistano diversi fenomeni in atto: l’invecchiamento della popolazione e quindi delle comunità, ma anche il risveglio del desiderio di vita, di comunità e di ragioni di speranza, dopo la pandemia e dentro le altre pieghe del tempo che viviamo. Si percepisce una certa tensione tra la voglia di cambiamento e la paura di lasciare le sicurezze del passato, col rischio di una crescente distanza tra le diverse sensibilità, che invece hanno bisogno di rispettarsi e valorizzarsi reciprocamente. Abbiamo vissuto intensi momenti di vita diocesana, che fanno ben sperare».

All’apparente esaurirsi della crisi pandemica ha fatto seguito lo scoppio della guerra in Ucraina. In che modo la comunità cremonese ha risposto a questa nuova emergenza? Quale è stato il ruolo della Chiesa?
«Lo smarrimento come atteggiamento interiore di fondo, la generosa solidarietà soprattutto nei primi mesi come risposta concreta al dramma che esplodeva, la meditazione e la preghiera per la pace attraverso la conversione dei cuori. Credo che il ruolo della Chiesa sia più che mai quello di svegliare le coscienze, perché non si ripieghino solo su istinti soggettivi spesso condizionati e fuorvianti. Illuminandole con la parola di Dio, perché si sprigioni la fantasia della carità e dell’impegno sociopolitico per la giustizia e la pace».

In prospettiva, quali sfide attendono la Chiesa cremonese? E quali si presenteranno già nel nuovo anno?
«Sia gli eventi del ‘villaggio globale’, sia i vissuti delle nostre comunità grandi e piccole, sollecitano scelte e azioni nelle direzioni tracciate dal Concilio e attualizzate dalle Chiese locali. Nel nostro caso, credo che la Chiesa cremonese sia chiamata innanzitutto alla gioia del discepolato, alla sequela del Cristo vivente, per testimoniare la fecondità della fede e non solo la formalità di gesti religiosi che corrono il rischio di non parlare all’uomo e al giovane di oggi. Non si tratta di ammodernare, quanto di attualizzare il dono di grazia che feconda ogni epoca umana, specie quelle più esposte al travaglio di una rigenerazione. Diventando comunità generative per quanto spazio si dà alla presenza viva del Signore, riconoscendolo in ogni uomo, nel diverso, nel piccolo, nel povero. Diffondendo una cultura e uno stile improntati all’incontro, alla prossimità, al dialogo».

Quali sono stati i fronti più complicati in cui la comunità ecclesiale si è trovata ad agire? In che modo avete risposto alle nuove povertà?
«L’azione generosa, competente e multiforme della nostra Caritas diocesana, che nel 2022 ha compiuto 50 anni di vita e di servizio, è nota a tutti. Col rischio di dar per scontato che basti far ricorso agli specialisti del settore per rispondere efficacemente alle tante emergenze e povertà che si moltiplicano nei contesti attuali. Solitudini e miserie umane, povertà economiche ed emarginazioni, crisi delle famiglie e di talune aziende, pongono domande cui solo un sistema integrato, aperto anche all’apporto di un volontariato diffuso, potrà dare risposte sostenibili e fruttuose. Ogni comunità ha da crescere in tale corresponsabilità, senza troppe deleghe, steccati o primogeniture».

È in corso il sinodo: quale il bilancio delle azioni fatte? E quali sono le prospettive dell’azione sinodale?
«Sono contento che si parli di cammino sinodale aperto e costante, piuttosto che di un Sinodo da celebrare ed archiviare. Il ‘camminare insieme’ è uno stile di Chiesa da assumere costantemente, in cui tutti possano sentirsi ascoltati, per rintracciare i segni della volontà di Dio sul nostro tempo. Mentre in passato poteva sembrare un cedere alla moda dell’assemblearismo democratico, nell’attuale ‘globalizzazione dell’indifferenza’ si tratta di attuare una profezia di incontro umano e fraterno, di dialogo ecclesiale coraggioso ed onesto, in cui tutti si mettano a guardare la realtà con il Vangelo nel cuore, per discernere le prospettive… che non vanno chieste solo al Vescovo come fosse un oracolo».

Che apporto ha portato la riflessione sinodale?
«Il primo apporto è la scoperta di quanta passione e competenza per la missione della Chiesa ci sia negli adulti e nei giovani che hanno accolto i diversi inviti al dialogo sinodale: non sono tantissimi ma hanno idee belle e chiare, consapevolezze e testimonianze da raccogliere, voglia di scommettere su ciò che lo Spirito di Dio suggerisce alle Chiese, franchezza nel segnalare con sofferenza ciò che non riusciamo ancora a correggere e rifare. La fraternità tra le diverse vocazioni nella Chiesa, che stiamo sperimentando in diversi contesti concreti, sin dalla formazione dei futuri preti nel nostro Seminario, è la strada su cui procedere decisamente, per farci carico insieme di una complessità che altrimenti scoraggerebbe o verrebbe pericolosamente interpretata in maniera unilaterale. La verità è sinfonica, anche la Chiesa sia un’orchestra ben armonizzata».

Con il nuovo anno ha annunciato che continueranno le visite pastorali: quale significato assumono all’interno della vita diocesana? Che immagine si è fatto della comunità cremonese durante le sue recenti visite?
«Il rapporto diretto con le comunità è essenziale, per conoscere le radici spirituali della fede vissuta e celebrata, per rimettere al centro il Vangelo e ciò che esso chiede in termini di conversione. In questa luce, si ridanno proporzioni e senso adeguati alle tante questioni strutturali e organizzative che spesso angosciano pastori e fedeli. Il peso delle strutture, pensate per una realtà che non c’è più, non deve perciò mortificare le relazioni interpersonali, lo slancio missionario, la bellezza della vita cristiana. La visita pastorale vuole perciò alleggerire, rasserenare ed incoraggiare comunità che, se perdono la gioia semplice della vita in Cristo e nella Chiesa, non potranno trasmettere a nessuno una fede credibile e gustosa».

Il nuovo altare della Cattedrale può rappresentare una Chiesa che si sa rinnovare?
«Il direttore di questo quotidiano, all’indomani della bella celebrazione di dedicazione del nuovo altare della cattedrale, titolò il suo editoriale ‘È lì da sempre’. Mi pare una splendida risposta alla domanda sul rinnovamento dei segni e dei linguaggi con cui i credenti vivono la fede bimillenaria in Cristo Signore. La Chiesa non insegue le novità del mondo, ma segue il Nuovo che è Gesù Cristo, venuto nel passato, vivente nel presente, e atteso nel futuro della storia umana, che per noi è storia di salvezza. Come accadde nell’età apostolica, il fatto cristiano non può che rigenerare continuamente tradizioni e culture, incarnandosi nel ‘qui e ora’ dei popoli e delle comunità. È bello, entrando ora in cattedrale, godere del patrimonio di arte e di fede ricevuto dal passato, e riconoscersi anche in un oggi liturgico ed espressivo che dica la nostra gioia di essere cristiani. Chissà quanto il Signore, vivente nella Chiesa, ci stupirà ancora nei secoli a venire…!».

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