L'ANALISI
18 Dicembre 2020 - 07:00
Adesso si annunzia che il vaiolo è scomparso. A tal punto che — si dice — la vaccinazione è ormai inutile, e in certi Paesi si decide dì sopprimerla. Sembra di sognare. Nel secolo XVIII il vaiolo era la malattia più contagiosa in Europa e probabilmente nel mondo; sotto certi aspetti più temibile della peste. Infatti, mentre la peste decideva tra la vita e la morte in tre o quattro giorni, il vaiolo durava due settimane o più. Se poi il paziente sopravviveva (in genere due casi su cinque), sul suo corpo (viso, braccia, torace) restavano le caratteristiche cicatrici depresse. Non erano rari i casi di cecità.
Sebbene colpisse di preferenza i bambini di meno di cinque anni, il vaiolo si diffondeva per contagio tra i soggetti di qualsiasi età e classe sociale. Nel XVII secolo la mortalità da vaiolo rappresentava a Londra il dieci per cento dei decessi, percentuale ancora più alta in altre città europee. La diffusione, come quella della peste, assumeva proporzioni epidemiche ogni cinque-dieci anni. Verso il 1660, proprio quando la peste cominciava a scomparire dall'Europa, la minaccia del vaiolo aumentava. Alcuni anni dopo, però, la classe colta si accorgeva di un fatto già noto alla gente comune: il terribile flagello era evitabile. Il vaiolo fu la prima malattia importante suscettibile di una forma di profilassi: non c'erano possibilità di cura, si poteva soltanto prevenirla.
Ai giorni nostri la prevenzione del vaiolo è associata al nome di Edoardo Jenner. Ma già molto prima di Jenner numerose popolazioni del vecchio mondo usavano diversi metodi per contrarre il vaiolo in forma non grave e così immunizzarsi. Preoccupati per la salute dei loro figli, i genitori cercavano qualcuno affetto da una forma lieve di vaiolo. Bambino e persona infetta venivano poi tenuti a contatto in modo tale che il bambino si contagiasse. Dopo un periodo di incubazione, una settimana circa, in genere nel bambino si sviluppava una lieve forma di vaiolo da cui guariva senza riportare conseguenze, contraendo un'immunità permanente.
In Inghilterra queste pratiche popolari furono conosciute solo quarant’anni più tardi, quando Emanuel Timoni, un medico greco istruito a Oxford e vissuto a Costantinopoli, inviò ai colleghi una minuziosa descrizione del metodo usato in Oriente. Presto, però, la vaiolizzazione incontrò in Inghilterra un'opposizione ostinata da parte di molti sacerdoti che la consideravano una pratica contraria alla volontà di Dio. Alla base di tali critiche stava il fatto che alcune persone inoculate morivano. Non solo, ma diventavano, durante la malattia, sorgenti potenziali di contagio. Per questi motivi, sebbene avesse raggiunto un certo grado di diffusione, l'immunizzazione rimase una eccezione.
L'inoculazione antivaiolosa fu intrapresa autonomamente in varie zone dell'America settentrionale nello stesso periodo di tempo. Nel 1721 Boston, che allora era il centro culturale delle colonie britannica, fu colpita da un'epidemia di vaiolo. Un eminente teologo e studioso, Cotton Mather, cercò di mobilitare i medici della città perché immunizzassero la popolazione. Ma all'opposto di quanto era avvenuto in Inghilterra, qui, mentre il clero era favorevole all'immunizzazione, i medici erano decisamente contrari.
L'epidemia ebbe gravi conseguenze: si ammalò circa la metà della popolazione, precisamente 5889 cittadini su 12.000 (da questa cifra vanno sottratti 280 immunizzati). I casi letali furono 884, uno ogni sette.
Queste tragiche notizie riaprirono in Inghilterra le polemiche. Tuttavia l'inoculazione in Europa rimase monopolio inglese, e inglesi furono gli inoculatori professionali che venivano invitati dai diversi Paesi per istruire i medici locali (un gruppo di medici inglesi fu chiamato a Potsdam da Federico il Grande e un altro a Vienna dall'imperatrice Maria Teresa). I francesi cominciarono a gareggiare con gli inglesi in questo campo nel 1750, in seguito alla diffusione di un'altra epidemia di vaiolo. Il contagio, durato con qualche interruzione sino al 1790, colpì una percentuale di persone adulte maggiore del solito.
Voltaire, che, allora 29enne, era sopravvissuto a un attacco di vaiolo, fu sostenitore convinto dell'inoculazione, che intanto aveva ottenuto l'approvazione anche dal Parlamento. Nel 1763 però, durante una nuova ondata epidemica, diffusasi nel centro della città (le aree urbane erano sempre le più colpite), essendo stata attribuita la causa al contagio inevitabilmente associato alla inoculazione, il Parlamento proibì la vaiolizzazione entro i confini di Parigi. Gli inoculatoli reagirono al divieto aprendo cliniche private appena fuori della capitale. Tra gli «esperti» c'era un medico veneziano, Angelo Gatti, che visse a Parigi e contribuì in modo sostanziale allo studio della malattia. Cinque anni più tardi fu revocato il divieto.
Alla vigilia della Rivoluzione francese, il metodo di inoculazione fu perfezionato: bastava una semplice iniezione.
Per i poveri il vaiolo veniva considerato una semplice fatalità. Molti furono gli studi compiuti proprio durante le epidemie. Nel 1790 Edoardo Jenner, un medico inglese con una notevole esperienza di lavoro nelle campagne, osservò che i lattai non si ammalavano mai di vaiolo, anche se non erano ricorsi all'inoculazione. Dopo anni di accurate osservazioni e ricerche, pubblicò nel 1798 una relazione di 70 pagine, intitolata Studio sulle cause e gli effetti del vaiolo vaccino (il vaiolo vaccino è quello che colpisce i bovini). In questo scritto ormai classico Jenner avanzò l'ipotesi che l'inoculazione del virus del vaiolo vaccino avrebbe fornito lo stesso grado di immunizzazione della vaiolizzazione. E quel che era più importante, la malattia prodotta dalla vaccinazione non procurava contagio.
La notizia fu accolta con favore durante le guerre napoleoniche. La tesi di Jenner trovò subito il consenso dei medici, e in un anno o due furono vaccinate migliaia di persone. L'esempio fu seguito anche dagli Stati Uniti d'America. In quell'epoca le persone vaccinate erano già milioni. Numerosi studiosi considerano oggi la vaccinazione obbligatone causa più di danni che di benefici, e pertanto raccomandano di limitarla a pochi e ben determinati casi. A che cosa è dovuto questo cambiamento? Prima della introduzione della vaccinazione, il vaiolo mieteva milioni di vittime in tutto il mondo; oggi è in via di rapidissima estinzione. Nel 1975, focolai di vaiolo sopravvivevano soltanto in sei nazioni di cui quattro asiatiche (Bangladesh, India, Nepal e Pakistan). Nell'aprile di questo anno l'Organizzazione mondiale della Sanità ha reso noto che dopo il 16 ottobre 1975 nessun caso è stato segnalato in Asia e solo qualcuno in Etiopia.
Questo radicale mutamento segna il trionfo della vaccinazione jenneriana, ma pone un nuovo problema. Secondo una indagine condotta in America dagli studiosi Lane e Millar, durante il trentennio 1970-2000 si dovrebbero verificare 210 casi di morte per complicazioni (sette all'anno in tutto il mondo) se si continuasse nella vaccinazione generalizzata e 60 casi di morte (due all'anno) se si vaccinassero soltanto i gruppi di popolazione esposti a reale rischio di contagio. In base a osservazioni di questo tipo, in Inghilterra, in Olanda, in Isvezia e negli Stati Uniti la vaccinazione di massa è stata abolita e sostituita da una vaccinazione selettiva.
JOLANIM VALVEROE
Un ritratto del medico
inglese Edward Jenner
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