L'ANALISI
25 Luglio 2020 - 07:00
ROMA — Volevano uccidere anche il presidente della Repubblica. La conferma è arrivata ieri dal Prefetto Vincenzo Parisi che ha ammesso l'esistenza di un «avvertimento su un possibile attentato al Presidente della Repubblica». Gli inquirenti che indagano sulla strage di Palermo, coadiuvati anche dall'Fbi americana, stanno vagliando in queste ore la consistenza delle voci, raccolte in ambienti giudiziari, secondo le quali Scalfaro sarebbe dovuto rimanere vittima di un attentato durante i funerali della scorta del giudice Borsellino. Secondo gli inquirenti non si tratterebbe però della solita pista mafiosa, ma di una strategia che vedrebbe coinvolti gruppi dell'estremismo politico.
Diecimila palermitani partecipano in modo composto ai funerali del giudice ucciso, dimostrando la loro voglia di resistere all'attacco della mafia. Applausi al Presidente ed capo della polizia Parisi
PALERMO — Il pianto ma anche la speranza e la voglia di resistenza di una città, ieri a Palermo, in occasione dei funerali di Paolo Borsellino. Cerimonia «rigorosamente privata» nel desiderio dei familiari, divenuta compostamente corale per la partecipazione di tanta gente, (circa 10.000 persone). Rito formalmente non solenne, però solennizzato dalla presenza del Capo dello Stato. Con Scalfaro, il capo della polizia Parisi, ieri destinatario con il presidente della Repubblica di un tributo di affettuosa gratitudine, ritmato dai lunghi applausi, cui entrambi si sono uniti, al feretro di un «giusto».
Il momento autenticamente più toccante, in cui tutti si sono riconosciuti, l'orazione funebre di Caponnetto, il «padre» di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con i quali, negli anni della «nuova frontiera» del pool antimafia, fu in prima linea nella guerra a Cosa Nostra.
«Sono venuto due volte in poco più di un mese a Palermo — ha detto Caponnetto con voce rotta dall'emozione —con il cuore a pezzi perché ho perso Giovanni, Francesca e Paolo che per me erano figli, fratelli e amici con i quali ho condiviso il lavoro, la gioia e le amarezze di questi anni».
Un altro momento particolarmente toccante è stato quando Caponnetto ha chiesto di potersi liberare da un peso che l'opprimeva: «L'attimo di sconforto che ho avuto dopo avere baciato il viso freddo di Paolo. Avevo detto è finita. Ma nessuno di noi, io meno degli altri, ha il diritto di dirlo. Arrendersi significa tradire gli ideali di Paolo, Giovanni e Francesca».
Caponnetto ha poi ringraziato il presidente della Repubblica «al quale sono legato da profonda amicizia» e, con il tono con il quale si parla ad un amico ed al quale si chiede aiuto, ha detto tra gli applausi: «La gente di Palermo e dell'intera Sicilia ti ama presidente e ti rispetta, ha fiducia nella tua saggezza e nella tua fermezza». Poi, quasi a volere spiegare: «Paolo è morto per lo Stato nel quale credeva, così come prima di lui Giovanni e Francesca, ma ora questo stesso Stato che lui ha servito fino all'estremo sacrificio, deve realmente dimostrare di essere presente in tutte le sue articolazioni. È giunto il tempo, mi sembra, delle grandi decisioni che le vicende impongono, non è più tempo della gente che vive delle collusioni, degli attendismi, dei compromessi, delle furberie.
«Presidente — ha ammonito Caponnetto — dovranno essere uomini credibili e onesti, dai politici ai magistrati a gestire con le tue illuminate direttive questa fase necessaria di rinascita morale. Solo attraverso questa rigenerazione collettiva, il sacrificio di Paolo non sarà vanificato».
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