L'ANALISI
09 Agosto 2014 - 11:09
Vengono i brividi a metter mano fra le cartelle cliniche dell’Ospedale di Sospiro e di quello che fu il Manicomio Provinciale di Cremona. Vengono i brividi perché insieme agli aspetti di carattere medico, all’anamnesi dei singoli pazienti, in alcune di queste cartelle ci sono disegni, lettere, documenti che raccontano di una vita reclusa, di una follia che si fece prigione della mente e del corpo, urlo di affetto, assenza di dignità.
Recentemente l’Archivio di Stato di Cremona ha ricevuto in deposito le carte dell’Archivio Storico dell’Istituto Ospedaliero di Sospiro, nato in realtà come struttura di assistenza per malati cronici poveri. La struttura però dal 1905 ospitò i primi ‘dementi tranquilli’ e si andò via via specializzando nella cura e nell’ospitalità dei malati psichiatrici e di persone affette da deficienze cognitive, accogliendo malati cronici provenienti da manicomi e istituti di altre province. Il definitivo orientamento verso l’assistenza psichiatrica comportò in particolare tra gli anni Trenta e Cinquanta, l’apertura progressiva di nuovi reparti e impegnative ristrutturazioni, di cui resta puntuale riscontro nella documentazione conservata.
«Alla sistemazione del fondo di Sospiro hanno lavorato Raffaella Boselli in un primo tempo e poi i materiali sono stati rivisti e integrati da Valeria Leoni — spiega la direttrice dell’Archivio di Stato, Angela Bellardi —. La documentazione è stata organizzata secondo uno schema che ha individuato alcune macroaree come quella dell’amministrazione, del personale, le carte inerenti il patrimonio, piuttosto che l’edilizia e gli impianti e le attrezzature. C’è inoltre tutta la sezione dedicata alla gestione contabile, all’economato, all’assistenza e ai registri di protocollo. Imponente è la mole di cartelle cliniche che vanno dal 1905 al 1970».
Ed è proprio questo materiale clinico, insieme a quello già depositato presso l’Archivio di Stato del Manicomio Provinciale di Cremona, che commuove, stupisce, fa inorridire ed emergere una storia di quotidiana sofferenza e straordinario attaccamento alla vita, malgrado tutto. Sulla realtà di Sospiro è imprescindibile lo studio di Maria Luisa Betri ed Edoardo Bressan, Cura e intervento sociale nel Cremonese tra Otto e Novecento. Cent’anni dell’Istituto ospedaliero di Sospiro (1897 – 1997), pubblicato da Franco Angeli. Tante le storie raccolte, fra queste fanno specie quelle legate ai ricoverati più giovani per cui tra le motivazioni dell’internamento c’era «la disubbidienza nei confronti dei genitori, la neghittosità e la ribellione alle imposizioni — si legge nel volume di Betri e Bressan —. Emilia F. fu internata nel manicomio di Cremona appena ventiduenne, rimanendovi per ben 14 anni poiché, in seguito ad attacchi di epilessia di cui soffriva, ‘fuggiva da casa commettendo atti strani e di scandalo per il pubblico, ribellandosi alla madre sua. Fu trasferita a Sospiro nel 1920 e vi morì due anni dopo, a soli 38 anni». Il piccolo Giuseppe P. di appena 10 anni fu bollato dalla madre superiore dell’istituto come ‘criminaloide e ladro’ con una relazione psichiatrica che recitava: «Da circa cinque anni va soggetto ad atti impulsivi, si appropria facilmente della roba degli altri, specie denari che ruba di frequente in famiglia per consumarli in frutta e giuoco con i compagni. Passa talvolta ad atti violenti verso i compagni anche con mezzi contundenti. Durante la degenza in manicomio non ha potuto mettere in atto le sue tendenze e non si può dire che vi sia stato un miglioramento. E’ frenetico nel giuoco». Inutile sottolineare che il paziente in oggetto aveva solo dieci anni. Frammenti di esistenze negate, condivise con il Manicomio Provinciale di Cremona, di cui l’Archivio di Stato conserva l’intera documentazione storica.
Nicola Arrigoni
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