La chiesa di San Sebastiano vista dall'ex manicomio
Il cuore del quartiere di San Sebastiano è ancora oggi identificato dai giovanotti di un tempo e dai loro ricordi in quel quadrivio (le attuali vie Tonani, San Sebastiano, Postumia, Buoso da Dovara) denominato Baracòon, baraccone. Da qui partiva la Postumia. Via Pippia, invece, che pur tanta parte ha avuto nella storia del quartiere e della sua gente, merita un discorso a parte, quasi terra di confine verso altre realtà legate alla parrocchia e verso l’odiata-amata San Bernardo. Nella Pippia che fino agli anni Settanta scorreva a cielo aperto, si faceva il bagno. Ad essa sono legate alcune delle attività più importanti del quartiere (come il mulino Maglia), le osterie più ‘rinomate’ (su tutte la Büsa), sulla Pippia si affacciava il cosiddetto Trotter (il caseggiato popolare tuttora esistente quasi all’angolo con via Mantova). Oggi il progetto Prìma de desmentegàase, ideato e realizzato da CrArT Cremona Arte e Turismo in collaborazione con Gianluigi Boldori e il giornale La Provincia, tocca come si è capito San Sebastiano, un rione che poco meno di trent’anni fa aveva un aspetto decisamente diverso da quello attuale. Quasi una città nella città, un luogo «dove non mancava niente» e si viveva bene. E’ la storia il più possibile lontana da quella ufficiale di cui tanto è già stato scritto quella che interessa ai promotori dell’iniziativa, un approccio basato sulla memoria condivisa, sul confronto, sui ricordi: prìma de desmentegàase, prima di dimenticarsi, appunto, di uomini e fatti della Cremona più recente e ancora poco raccontata. Dicevamo del Baracòon, cuore ideale di un quartiere che non può contare su una piazza o un sagrato (la chiesa era ed è un po’ isolata nel verde che prelude alla campagna circostante) con funzione accentratrice. Il Baraccone cominciò a cambiare aspetto quando negli anni Sessanta venne demolito il Ghéet, il ghetto, un vecchio caseggiato riadattato ad abitazione che sorgeva proprio sull’angolo (l’ingresso era esattamente sulla curva) occupato oggi dal palazzo con il negozio di elettrodomestici di Gianni Rossi. «Al Ghéet stavamo benone, ci vivevano almeno 25 famiglie: gli Orlandelli, i Brambati, i Lodigiani, i Cappelletti con un nugolo di bambini. C’era sempre una grande confusione ma non è mai sucesso niente. Te fèet en ghéet, diceva mia mamma. Cioè fai tanta confusione». Niente a che vedere quindi con gli ebrei, che qualcuno invece sostiene avessero abitato proprio lì, sull’angolo della vecchia via Manicomio.