L'ANALISI
16 Novembre 2025 - 05:05
CREMONA - Il saldo tra pensioni erogate e lavoratori attivi in provincia di Cremona fotografa un equilibrio sempre più delicato. Con 146.556 trattamenti previdenziali a fronte di 157.155 occupati, il territorio mantiene un avanzo di 10.599 unità, un margine esiguo che suggerisce un equilibrio solo apparente. Un «quasi pareggio» che, nella lettura dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, assume un significato più profondo: Cremona resta in attivo, sì, ma il cuscinetto tra chi produce reddito e chi ne beneficia si assottiglia con rapidità crescente.
In molte province italiane questa soglia è stata già superata. Quasi metà del Paese conosce ormai l’inversione strutturale: più pensioni che lavoratori. È il caso, in particolare, del Mezzogiorno e delle Isole, dove — ricorda la Cgia — «nel 2024, a fronte di 7,3 milioni di pensioni pagate, vi erano poco più di 6,4 milioni di occupati». Qui il sorpasso non è un’emergenza improvvisa, ma un tratto consolidato della struttura socio-economica.
Il confronto territoriale appare impietoso. Nel Sud, la Puglia detiene il divario più accentuato, con −231.700 unità. Nulla a che vedere con le regioni del Centro-Nord, che nel 2024 mantengono saldi ampiamente positivi grazie al buon andamento dell’occupazione: +803.180 in Lombardia, +395.338 in Veneto, +377.868 nel Lazio, +227.710 in Emilia-Romagna e +184.266 in Toscana. La Cgia parla di differenze «che si sono rafforzate negli ultimi due-tre anni».

La tenuta demografica e occupazionale di queste aree, tuttavia, non costituisce un argine stabile. Lo conferma la stessa analisi: entro il 2029 oltre tre milioni di italiani lasceranno il lavoro, e di questi «circa il 74%» nelle regioni centro-settentrionali. Un’uscita massiccia dalle ‘scrivanie e dalle catene di montaggio’, destinata a ridefinire il profilo produttivo del Paese. L’invecchiamento della forza lavoro non è più un orizzonte lontano, ma una realtà già visibile.
Gli effetti di questi trend si misurano su più piani. Il primo, immediato, riguarda la capacità delle imprese di trovare personale. «Reperire figure professionali altamente specializzate è ormai un’impresa quasi impossibile», denuncia la Cgia. Una difficoltà già evidente in molte filiere produttive – dalla metalmeccanica all’agroalimentare, dalla logistica ai servizi tecnici – e destinata a intensificarsi con l’uscita dal mercato dei baby-boomers. Il secondo riguarda la stabilità del sistema previdenziale. Con un numero crescente di pensionati e una platea di occupati che tende a rimanere stabile o a ridursi, la spesa pubblica è destinata ad aumentare. La Cgia lo afferma senza giri di parole: «Queste dinamiche potrebbero compromettere l’equilibrio dei conti pubblici e la stabilità economica e sociale dell’Italia». Una simile pressione, se non compensata da crescita occupazionale e produttività, rischia di ridurre i margini di investimento, alimentare squilibri sociali e appesantire la fiscalità.
La Cgia sottolinea come l’elevato numero di trattamenti non sia dovuto soprattutto alle pensioni di vecchiaia, bensì alla «diffusione dei trattamenti assistenziali e di invalidità», una condizione che spesso riflette fragilità strutturali, lavoro irregolare, bassi livelli di istruzione e un tessuto economico incapace di generare occupazione stabile. Le radici del fenomeno, infatti, affondano in quattro fattori strettamente correlati: denatalità, invecchiamento della popolazione, tassi di occupazione inferiori alla media europea e presenza significativa di lavoro irregolare. Una combinazione che, negli anni, ha ristretto la base dei contribuenti attivi e ampliato quella dei percettori di welfare, con effetti evidenti sul saldo tra lavoratori e pensionati.
Anche il Nord non è immune da segnali di squilibrio. Sono già otto le province settentrionali con più pensioni che occupati: Rovigo, Sondrio, Alessandria, Vercelli, Biella, Ferrara, Genova e Savona. Due province liguri su quattro presentano un saldo negativo, tre su otto in Piemonte. Un’avvisaglia che anticipa scenari più ampi: secondo la Cgia, nei prossimi anni «la situazione è prevista in peggioramento in tutto il Paese».
In questo quadro, Cremona si colloca ancora nell’area dei territori in equilibrio, ma l’esiguità del margine impone una riflessione. L’invecchiamento della forza lavoro, la riduzione della popolazione giovane, la difficoltà di reperimento delle competenze e la pressione sul sistema previdenziale convergono in un’unica direzione: la necessità di ampliare la base occupazionale.
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