L'ANALISI
20 Novembre 2023 - 05:25
Sergio Tarquinio e la copertita di 'Ombre di morte'
CREMONA - Scarta il pacco, si alza dal divano e si accomoda su una sedia, poi avvicina le pagine al volto. “Questo l'ho fatto io, è tutta roba mia, la riconosco dai cavalli, dalla loro posizione”. Sergio Tarquinio, 98 anni il 13 ottobre scorso, grande pittore, incisore e disegnatore, si illumina mentre sfoglia il numero speciale di Tex. 'Ombre di morte' è il titolo della storia inedita ritrovata per caso negli archivi della Sergio Bonelli, la casa editrice del fumetto, e pubblicata pochi giorni fa tra rullare di tamburi per festeggiare il 75° compleanno di Aquila della notte, il ranger più famoso al mondo. Un imperdibile pezzo da collezione, un ricco volume rilegato. Ottanta pagine illustrate da uno dei patriarchi di Cremona.
La sua vista e le sue gambe non sono più quelle di un tempo, ma la sua memoria è granitica. “Mio nonno, Alessandro, componeva schizzi per il ferro battuto che venivano poi realizzati in un'officina per i balconi o i cancelli. Mio padre, Tito, aveva un senso decorativo enorme, anche se non l'ha mai sviluppato. Ma tutto quello che ho imparato lo devo a mio fratello, Enzo, 14 anni più di me. Era tecnicamente bravissimo”. Enzo, nel 1943, venne catturato dagli americani e portato nel campi di prigionia di Douglas, nel Wyoming. “Un colonnello che conosceva le sue qualità gli chiese di fare qualcosa per il suo club. E lui dipinse una coppia di quadri di 3 metri per 2 che ritraevano una fattoria: uno è conservato nel museo di quella città, l'altro è scomparso”.
Tarquinio ha ereditato questa passione per i colori radicata in famiglia dimostrando già alle elementari una spiccata attitudine per il disegno. “I miei primissimi lavori sono stati un depliant per la Cremonese e delle figurine acquerellate”. Nella sua vita c'è stata anche una parentesi argentina durata quattro anni. “La mia sciocchezza maggiore, non ho trovato il mondo e le idee nuove che cercavo”. Ritornato in Italia nel 1952, è entrato in contatto con i Bonelli diventando uno dei loro disegnatori. “Tex vendeva qualcosa come 400 mila copie, una tiratura da quotidiano. Il segreto della sua popolarità stava nell'essere una figura profondamente umana, che difendeva i Navajos, gli indiani più poveri, e che è diventato un simbolo: il paladino dei deboli. Il suo è un linguaggio semplice. Come e più del maestro Manzi di 'Non è mai troppo tardi' è stato Tex a insegnare l'italiano, tante persone credevano che le sue gesta fossero vere. Il mio barbiere, Francesco in via Massarotti, comprava due copie di ogni episodio perché la prima la riducevano in pezzi i clienti e diventava illeggibile”.
Nel 1961, Sergio Bonelli, l'inventore di Tex, chiama Tarquinio. “Mi propose di fare delle tavole tentando di uniformarmi allo stile di Galleppini (Arturo, a lungo unico disegnatore di Tex, ndr). Accetto, mi metto all'opera, in un mese e mezzo finisco. Non e' stato difficile. Ricordo che in quei giorni il mio amico Persico mi chiese di accompagnarlo a Milano perché voleva strappare il permesso di apporre Tex sui suoi calendari. Tantissime aziende puntavano ad avere quel marchio, i produttori di giocattoli, persino una fabbrica di saponette. Giovanni Bonelli, il padre di quel genialoide di Sergio, ci ricevette e mi domandò come stava andando il mio Tex, che doveva essere nelle intenzioni, ma solo nelle intenzioni, il primo numero di una serie di album cartonati. Dicevano che ero troppo bravo, mi chiamavano 'maestro di cavalli'. Ma io non volevo imitare un altro. Andammo a pranzo in una pizzeria e non ne parlammo più”.
E così quello è stato il primo e ultimo Tex di Tarquinio, che ha prestato il suo talento a un'infinità di altri fumetti memorabili come la monumentale Storia del West e Ken Parker, Batman e Superman. “Sono dottor Jekyll e mister Hyde: il mattino disegnavo, la mia professione, ma dopo pranzo andavo in studio a dipingere, la mia passione”. “La semplicità, la facilità con cui muoveva la matita erano impressionanti. Il cervello che comanda la mano. Un tratto impeccabile. Un dono di natura”, commenta Giuseppe Termenini, suo estimatore e amico fraterno, organizzatore, a San Vitale, di una grande mostra antologica in suo onore. Nel 1988 Tarquinio ha deciso di lasciare l'illustrazione per dedicarsi completamente all'arte. Colto, ironico, spazia con leggerezza dalla letteratura alla filosofia. E' emozionante sentirlo parlare del Beato Angelico: “Quando penso a lui, immagino un piccolo uomo che salta da una chiesa all'altra”. O di Rembrandt, “un grassottello che trotterella per le strade di Amsterdam”. Sembrano volti partoriti dalla sua fantasia e fatti rivivere sul foglio bianco.
'Ombre di morte', sceneggiatura di Gianlugi Bonelli, è spuntato da una vecchia cartella di pelle sepolta sotto una pila di altri oggetti. Vi si racconta di banditi senza scrupoli alla caccia delle miniere d'oro nei territori dei Navajos. “Un tesoro del passato. Per noi equivale a trovare la tomba di Nefertiti o una sonata incompiuta di Mozart”, scrive, Mauro Bonelli, che ha completato l'episodio. “Mi hanno avvertito della scoperta qualche tempo fa dalla casa editrice” - riprende Tarquinio -. Guardando queste pagine, devo dire che il mio impegno tecnico è stato totale. Mi sono sempre considerato un illustratore onesto e bravo”. Ma la sua creatura preferita è un'altra: il giudice Bean, il leggendario magistrato definitosi 'l'unica legge a ovest del Pecos'. “Le sue sentenze erano stravaganti. Una volta sul banco degli imputati erano saliti dei cinesi e lui non pronunciò nessun verdetto perché di loro, dei cinesi, non c'era traccia nel codice penale. Un prete mandò una calda lettera pregandoci di non interrompere la pubblicazione perché i suoi giovani ne andavano pazzi”.
La sua lunga carriera è illuminata da premi e riconoscimenti. Scrivono di lui l'Enciclopedia Larousse e la Storia francese del fumetto. “Napolitano mi ha nominato Cavaliere della Repubblica per meriti artistici ed editoriali”. Del 2012 sono le sue ultime incisioni e nel 2017 è stato costretto a lasciare anche la pittura. “L'amore per loro si è spento con i miei occhi”. Le finestre dell'appartamento, dove vive con la moglie Ivana, si affacciano sul quartiere Po. “Appartengo a un'epoca che non esiste più. Non mi riconosco in questo mondo. Questa non è più la mia Cremona. Quella dei silenzi, delle spiagge, degli argini. Dopo la guerra, il Po era una cosa meravigliosa”. Sarebbe piaciuto anche a Tex.
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