L'ANALISI
LE STORIE DI GIGIO
30 Ottobre 2023 - 05:25
Vittoria dopo la chemioterapia e con la sorella maggiore Chiara
CREMONA - Sul braccio destro si è fatta tatuare una data in numeri romani. “6 dicembre 2019, il giorno del ricovero. Mi hanno asportato una massa tumorale che pesava 4 chilogrammi”. Di anni allora Vittoria Pipitone, oggi diciannovenne, ne aveva 15. Poco più di una bambina. Nata a Busto Arsizio (Varese) e trasferitasi a Cremona nel 2006 con il padre Nunzio, dirigente d'azienda, la madre Patrizia, insegnante, la sorella maggiore Chiara, ora Vittoria, diploma al liceo linguistico Manin e studi all'Accademia Santa Giulia di Brescia (corso di interior design), è guarita. E' la più giovane testimonial di MEDeA, l'associazione che assiste i malati oncologici.
“Vorrei, raccontando di me, essere d'aiuto a chi sta male”. Questa ragazzina con le unghie smaltate d'azzurro e vari anelli alle dita, è una forza della natura. Ricostruisce tutto nei dettagli, non c'è quasi bisogno di fare domande. Le basta una tazza di cioccolata calda (“Peccato, qui non hanno la panna”) per partire e non fermarsi più. “All'inizio dell'estate di quell'anno ha cominciato a sentire qualcosa che non andava nel mio corpo. Tipo stancarmi o avere il fiatone dopo aver corso. Ma non ci ho fatto caso. Ad ottobre mi sono accorta che la pancia cominciava a crescere. Ne ho parlato con mia mamma, abbiamo pensato stessi ingrassando. Pochi giorni dopo lei mi ha toccato la pancia: era dura, ho avvertito tanto dolore. In quel periodo dovevo sottopormi alla visita sportiva per il rilascio del brevetto con cui andare a cavallo, la mia grande passione. Appena mi sono spogliata, il medico mi ha detto: guarda. non ti faccio nemmeno sedere perché hai un versamento ovarico, vai direttamente al pronto soccorso del Maggiore”. Gli accertamenti, la Tac, le analisi del sangue. “Dato che incinta non potevo essere, si pensava non mi scaricassi bene o a una cattiva digestione. Dopo l'ecografia una dottoressa mi ha spiegato: qui è tutto fermo, congelato".
"Siccome non si capiva bene cos'era quell'ingrossamento, è stata preparata un'ambulanza per trasferirmi a Brescia. Ma i miei genitori hanno preferito portarmi a Milano, all'Istituto dei tumori. Ho convinto pure mia madre a farsi il tatuaggio con la data”. Anche lì visite e controlli. “Alla fine un medico, una donna, è venuta accanto al mio lettino, ha chiuso la tenda e mi ha parlato: Vittoria, hai un tumore, adesso ti portiamo nella tua camera, potrai conoscere altre persone malate come te e avrai i tuoi spazi dove giocare. Se servirà, ci sarà anche uno psicologo e, se lo desideri, un insegnante che ti affiancherà per non perdere le lezioni a scuola”. La piccola paziente comunica la notizia a Claudia, la sua migliore amica che non l'ha mai abbandonata, e ai compagni di classe. “Nessuno l'ha presa bene, il cancro tra i giovani è un tabù, non si pensa che possa capitare a uno di noi. Tante persone hanno pregato per me, comprese alcune suore”.
La madre dormiva su un divano accanto al suo letto, anche il padre e la sorella sono stati sempre al suo capezzale. “La diagnosi era: teratoma ovarico sinistro. Subito dopo il ricovero ho cominciato la chemioterapia, proseguita per qualche giorno. Un'altra dottoressa mi ha descritto gli effetti collaterali: perderai i capelli, sanguinerai dal naso, non potrai toccarti la pelle perché nella chemio c'è un prodotto che la rende più sottile e, se mi grattavo, rimanevano i segni. Dopo un primo miglioramento, la pancia ha ripreso a gonfiarsi perché la massa non reagiva bene alle cure: si sarebbe poi scoperto che il 2 per cento era costituita da un tumore maligno e il resto benigno”. Il ciclo di chemio viene sospeso. “Stavo malissimo, vomitavo e, quando non vomitavo, avevo paura di farlo. Non desideravo niente, mi ero chiusa in me stessa. Per fortuna la mia compagna di stanza, Sofia, una bellissima ragazzina piena di vita che aveva un anno meno di me, è riuscita a convincermi ad andare nella sala giochi e a distrarmi un po'”.
Il ricovero si prolunga. “Potevo rischiare di morire, non per il cancro ma perché c'era il pericolo che quella massa alla pancia schiacciasse gli organi. E, quindi, dovevo essere continuamente monitorata”. Si avvicina il Natale. “Ho iniziato a perdere i capelli e ho deciso di tagliarmeli più corti. L'unica volta in cui sono potuta uscire, con la mia famiglia e alcuni nostri amici, è stato il 25 dicembre: il momento più bello di quel periodo, ricordo di aver mangiato tantissimo. La sera sono rientrata, è salita la febbre e sono aumentati i capelli che cadevano. La psicologa mi ha domandato come l'avevo presa. Le ho risposto: non mi interessano i capelli, ma guarire”.
Arriva così il 31 dicembre 2019, per tutti l'ultimo giorno dell'anno, per lei il giorno dell'intervento. “Mi hanno steso sul lettino con Bobò, l'orsacchiotto di peluche accanto a cui dormo la notte, e consentito ai miei genitori di entrare in sala operatoria”. Va tutto bene, la massa viene rimossa. “Ho una cicatrice che parte da sotto il seno fino al pube. E' fatta benissimo, sembra un filo bianco. Già dal mattino successivo ho cominciato ad alzarmi, poi a camminare”. Dopo più di un mese, il ritorno a casa. "Volevo andare subito ad ogni costo da Diana, il mio cavallo ma, non potendo montarlo, ho chiesto almeno di salutarlo. Non si è strofinato come al solito, ma ha avvicinato il muso alla mia pancia e leccato le mani”. Il 17 gennaio, il rientro in classe, tra lacrime e abbracci. “Ho fatto una sorpresa ai miei compagni, che non si aspettavano di rivedermi. Mi sono tolta il giubbotto, quindi il cappello: no, non provavo nessuna vergogna per essere quasi calva, era un segno di battaglia”.
Il primo settembre, Vittoria ha sfilato per Medea alle Colonie padane: era la più giovane delle modelle, ex malate oncologiche. “Indossavo una gonna lunga, una camicetta molto elegante e una giacca nera, con borsetta e tacchi. Una serata indimenticabile per me, per tutte le altre donne che sono guarite ma anche per quelle che non ci sono più”. Ha fatto molto altro. “Ho condiviso quello che mi è successo sui social, soprattutto tik tok, e risposto nelle dirette alle domande dei miei coetanei. Il mio piccolo messaggio era ed è questo: se non avessi affrontato la mia malattia con il sorriso e il coraggio, non so se ce l'avrei fatta. La bestia peggiore, come mi è capitato specialmente durante l'isolamento per il Covid, è la testa che riporta indietro a tutto quello che ho avuto e alle molte persone conosciute là dentro, in ospedale, e che non sono più uscite. Mi chiedo: perché io sì e loro no?”.
Dopo essere stata dimessa, doveva recarsi ogni settimana in ospedale per i controlli, ora ogni 6 mesi. Segno che sta guarendo. “Ho ripreso la mia vita: gli amici, gli aperitivi, il cavallo. Anche se i pensieri, quelli, ci sono sempre, come i sensi di colpa”. La sofferenza l'ha fortificata, maturata: “Ho affrontato le mie paure, dato importanza a ciò che conta davvero, sono diventata più determinata nelle cose da fare”. A casa, sul letto nella sua cameretta, c'è sempre Bobò.
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