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Negazionisti, non vi basta quel che avete visto?

Eventi estremi e ripetuti hanno messo in ginocchio l’Italia e causato molte vittime, con il Nord flagellato prima dalla siccità e poi da bufere di vento e grandinate e il Sud ora in fiamme e prima sott’acqua

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

30 Luglio 2023 - 05:00

Negazionisti, non vi basta quel che avete visto?

Ore 4,30 della notte tra lunedì a martedì: sul Cremasco si scatena l’inferno. Una grandinata devastante distrugge tutto: tetti, cappotti delle case appena rifatti, colture. Chi, svegliato dalle ‘mitragliate’ di chicchi più grandi di palline di tennis contro muri e tapparelle, ha avuto il coraggio di guardare fuori, parla senza mezzi termini di uno spettacolo agghiacciante, terrificante, con vento a cento chilometri orari e subito dopo una pioggia monsonica che ai danni del nubifragio aggiunge quelli degli allagamenti. Come nei film del terrore, le nuvole nere annunciatrici e portatrici di disastri hanno poi cambiato ‘mira’, abbattendo la loro furia — in rapida successione — prima sul Cremonese e poi sul Casalasco, lasciando dietro altre distruzioni. Ce n’è abbastanza per convincere i negazionisti che il cambiamento climatico è in atto e non siamo davanti a una mera e temporanea fase meteorologica dovuta a fenomeni ciclici? «Le terribili immagini delle catastrofi che hanno colpito varie regioni italiane, legate alle conseguenze del cambiamento climatico, sono tali che tante discussioni sulle loro cause appaiono sorprendenti», ha come sempre ben sintetizzato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, richiamando tutti alla necessità di maturare la chiara consapevolezza «che siamo in ritardo» nel metterci mano. Eventi estremi e ripetuti che hanno messo in ginocchio l’Italia e causato molte vittime, con il Nord flagellato prima dalla siccità e poi da bufere di vento e grandinate e il Sud ora in fiamme e prima sott’acqua. «Il negazionismo produce solo alibi», gli ha fatto eco Luca Zaia, pragmaticissimo governatore del Veneto, altra regione che paga un conto super salato all’emergenza climatica. «Non possiamo restare a guardare senza fare nulla», ammonisce.

Basta scorrere le cronache di questi ultimi giorni per capire che cittadini e imprese, soprattutto quelle agricole, stiano pagando a caro prezzo i danni del maltempo. Il conto è certamente miliardario. Provare a stimarlo al momento è prematuro. «Un esercizio difficile e forse anche inutile», è convinto il presidente nazionale di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. Le verifiche sono appena iniziate, le cifre non vanno azzardate a caso in una gara a chi la spara più grossa. Giusto per dare un’idea: i primi calcoli sono stati fatti a Pianengo, paese-simbolo di questa ultima tornata di maltempo. La prima e molto sommaria stima dei danni parla di 24 milioni di euro, con 715 richieste di indennizzo presentate dai privati in Comune. In paese si contano mille famiglie e anche aggiungendo locali e aziende, significa che il 70 per cento dei residenti ha subito conseguenze dalla grandinata, come spiega proprio sul giornale di oggi il sindaco Roberto Barbaglio. La stima va moltiplicata per centinaia di volte, una per ogni comunità colpita. Detto che non siamo davanti a un’emergenza temporanea, ma a una situazione endemica, l’imperativo di un piano d’azione si fa sempre più pressante a tutti i livelli. Per mettere una pezza ai danni dell’oggi e, soprattutto, per progettare il futuro. Regione e governo garantiscono il massimo impegno.

Da Roma, oltre alla dichiarazione di stato d’emergenza che dovrebbe essere sottoscritta a giorni, sono già arrivati il sì alla proroga delle scadenze fiscali e contributive per le zone colpite dai recenti eventi calamitosi e l’impegno a mettere sul piatto ingenti somme per i ristori a imprese e cittadini. A livello regionale è immediatamente stato attivato un tavolo con le organizzazioni sindacali del comparto agroalimentare. «L’importante è fare presto», ammonisce Riccardo Crotti, presidente regionale di Confagricoltura, che rappresenta il comparto più pesantemente colpito (per dare un’idea: è andato perso tra il 50 e il 70 per cento dei raccolti di mais) e dalla cui crisi produttiva dipende anche il futuro delle famiglie: meno prodotti della terra disponibili significa, nell’immediato, rincari assicurati dei prezzi al consumo. All’assessore Alessandro Beduschi sono state avanzate, tra le altre, le richieste di anticipo dei versamenti dei fondi Pac (Politiche Agricole Comuni), dell’apertura di linee di microcredito garantite da Finlombarda per sopperire alle necessità urgenti, dell’impostazione di provvedimenti legati al credito d’imposta sul modello del 110% per la ristrutturazione di immobili operativi e macchinari e soprattutto una «decisa semplificazione» delle procedure per la richiesta degli indennizzi che consenta alle imprese di accedervi in tempi rapidi. Tutte istanze che sono state sostanzialmente accolte.

Non vanno dimenticati i cittadini e il mondo dell’industria, che pure devono essere sostenuti al momento in cui pagano il conto. Tamponate le ferite dell’oggi è però indispensabile pensare al domani. «Il clima cambia, facciamolo anche noi», ammonisce il commissario alla siccità, Nicola Dell’Acqua, perché non va dimenticato che, con l’aumentare della temperatura della terra, dopo piogge disastrose normalmente si registrano fasi ‘secche’. «Impariamo a pianificare l’uso dell’acqua, in base alla disponibilità», spiega citando l’esempio virtuoso di Israele. Più in generale, da Palazzo Chigi arriva l’impegno a varare un grande piano di prevenzione idrogeologica entro la prima metà dell’anno prossimo: i tecnici della cabina di regia sul dissesto ci stanno già lavorando. Certo, l’Italia da sola non basta. La sfida al climate change è planetaria e gli sforzi per il raggiungimento degli obiettivi individuati al vertice sui cambianti climatici Cop26 devono essere dispiegati al massimo livello. In primis la riduzione dei gas serra. Vanno presi provvedimenti efficaci, senza però restare vittime di luoghi comuni, facili individuazioni di capri espiatori e fake news. Come l’equazione più agricoltura e allevamenti uguale maggiori quantità di gas serra. Con il conseguente e periodico invito a limitarne l’attività. ‘Chi sfamerebbe poi il mondo?’ è la prima, ovvia e naturale considerazione.

In realtà, come è stato affermato al recente vertice della Fao a Roma, a livello mondiale nell’arco di 30 anni il settore agricolo ha ridotto le emissioni pro capite del 20 per cento. Secondo uno studio dell’Università di Oxford, negli ultimi 10 anni in Italia le attività zootecniche hanno contribuito a raffreddare l'atmosfera con un risparmio di 49 milioni di tonnellate di CO2. Numeri che dimostrano che il modello agricolo italiano è tra i più avanzati. Il rapporto AGRIcoltura100, promosso da Reale Mutua in collaborazione con Confagricoltura, realizzato prendendo in considerazione 1.800 aziende del comparto, offre una fotografia positiva della sostenibilità nel settore agricolo. Secondo il rapporto un’azienda del settore su due (48,1%) in Italia ha un livello di sostenibilità alto o medio-alto e il 97,9% attua almeno una iniziativa finalizzata a migliorare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse: acqua, suolo, energia.

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