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Rispettiamo i bimbi nella loro dignità

È giusto riconoscerli per il valore e la storia che hanno. Impariamo a non sfruttarli per affermare le idee degli adulti e anche due mamme meritano ascolto e accoglienza

Don Marco D'Agostino (rettore del Seminario coordinatore dell’area pastorale Comunità educante)

27 Giugno 2023 - 05:20

Rispettiamo i bimbi nella loro dignità

Un procuratore della Repubblica, contestando la legittimità dell’atto di nascita di una bimba registrato in Comune sei anni fa da una coppia (di due donne), si è rivolto al Tribunale chiedendone la rettifica attraverso la cancellazione del nome della madre non biologica e la rettifica del cognome attribuito alla figlia, tramite cancellazione di quello della ‘seconda mamma’. Ciò in quanto l’atto di nascita in questione sarebbe contrario alle leggi e ai precedenti pronunciamenti in materia della Cassazione. Stessa sorte per altre 33 coppie di Padova che si trovano nelle stesse condizioni e si sono viste recapitare l’atto d’impugnazione del procuratore. Non spetta a me interpretare le norme.

Ma se i giudici che sino ad oggi le hanno applicate hanno ritenuto che un bambino non possa essere registrato in Comune come avente ‘due mamme’ (e, immagino, ‘due papà’), pare di capire che la legge proprio non lo consenta. A ben vedere, ciascuno di noi, ha almeno una mamma e un papà e, questi, sono i nostri genitori biologici e naturali. È altrettanto vero che tutti noi siamo stati generati da più persone e abbiamo condiviso tempi e spazi della nostra vita, dall’infanzia alla giovinezza, con altri soggetti. E da adulti, soprattutto nella professione dell’educare e dell’insegnare, dell’allenare e dello stare vicino, abbiamo sperimentato come, anche senza biologia, sia possibile ‘dare alla luce’, ‘portare alla vita’, accompagnare nel cammino bimbi, ragazzi e adolescenti che non sono nostri figli biologicamente, ma lo sono diventati per l’intensità con la quale li abbiamo amati e la costanza grazie alla quale li abbiamo seguiti nelle difficoltà.


Mi piace, dunque, ragionare sulla realtà, che è sempre più grande delle nostre idee. Sulla realtà che si manifesta a noi ed è da accogliere, sulla scorta della quale, mi sento di fare tre semplici considerazioni. La prima è che la bimba delle due donne quarantenni di Padova esiste e viene chiamata, da sei anni, con un nome e due cognomi. In casa, a scuola, dagli amici, piccoli e grandi. Non è certo la cancellazione di un cognome a risolvere la sua situazione o a dar ragione o torto a una legge. Quella bimba non è la ‘cavia’ di un meccanismo e di battaglie che si portano avanti, gli uni contro gli altri, in un senso o nell’altro.

Viviamo in un mondo, in una società e anche in una Chiesa diventati sempre più sensibili ai piccoli. Non usiamoli per affermare diritti. Riconosciamoli per ciò che sono e per il valore che hanno in sé. Soprattutto quando questi sono vittime di maltrattamenti, abusi e storie poco piacevoli. Siamo chiamati, tutti quanti, a rispettarli nella loro dignità, sempre più grande di noi e meritevole di accoglienza. Così come anche le due donne, dal mio punto di vista, senza strepiti o cortei, hanno il diritto di essere ascoltate e accolte. La seconda considerazione la offre la storia. Un bambino ha bisogno di cura, di attenzione e di strumenti per crescere. E ha bisogno di molte figure adulte intorno, che possano aiutarlo a comprendere le differenze, la sua identità, il suo modo di porsi con gli altri, in una logica di dono e di servizio.

Quella bimba, prima o poi, si domanderà da chi è nata, si confronterà con gli altri bambini e, in quelle occasioni, le due mamme o i due papà avranno pensato cosa dirle, saranno amici di altri genitori e di figure alternative alla loro unione che possano testimoniare altro rispetto al loro vissuto. Il figlio è frutto dell’amore di due genitori, ma sappiamo e conosciamo storie di figli amati e abbandonati, generati e non voluti e anche di molte coppie che non sono riuscite ad avere un figlio e hanno scelto strade alternative. Ora, nel caso delle due mamme, la figlia c’è, è cresciuta, ha bisogno di confronti e aiuti di ogni genere.

Allora, lo robadisco: non usiamo i figli per riconoscere i diritti degli adulti, ma accogliamo la loro storia e aiutiamola, come comunità, a germogliare e sbocciare. La terza considerazione è ancora più semplice. Nella mia esperienza ho visto molti bambini crescere, in comunità, con tutte donne o con tutti uomini. Rimanervi per lunghi anni e non vedere alcun uomo o alcuna donna. Eppure le cure che le suore, operatrici e operatori, volontarie e volontari offrono e propongono, sono di una gratuità e di un’oblatività tali che fanno riflettere attentamente. Non perché questa situazione svilisca la famiglia fatta da un uomo e da una donna.

No, al contrario, afferma che il motore dell’educazione, della trasmissione dei valori e della fede stessa, non risiedono, tout court, in un dato naturale. C’è immensa gratitudine per tutti i genitori, per il dono della vita, ma è riduttivo identificare come ‘genitore’ solamente colui che ha generato biologicamente: è da considerarsi tale soprattutto perché ama, accompagna, segue, si sacrifica sino alla fine. E tutto questo interroga anche il mio essere ‘padre’, pur non avendo figli naturali, nell’accostarmi, come ‘terzo genitore’, a diversi ragazzi che a scuola e, come giovani in Seminario, sono affidati al mio ministero di adulto credente. È vero, io non do loro il mio cognome, non mi fregio d’essere ‘padre’ a tutti gli effetti, ma tutti sappiamo cosa l’amore comporta: rinunce, sacrifici e donazione di sé. Questo, credo, sia l’essenza che non si cancella. Il bene scritto nella vita altrui.

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