L'ANALISI
27 Giugno 2023 - 05:25
Sono illegittimi, i bimbi non possono essere figli di due donne: così ha deciso la Procura di Padova, impugnando 33 atti di nascita di figli di coppie LGBTQ+ dal 2017 a oggi. Proprio alcuni giorni fa, scrivevo su questo stesso giornale della speranza di poter vedere presto realizzarsi una società in cui un bambino non viene marginalizzato per il colore della pelle o per avere due mamme. Invece, pochi giorni dopo, proprio nel mese di giugno, il mese in cui da anni si celebra la comunità LGBTQ+, arriva una decisione anacronistica e discriminatoria, basata su pregiudizi che non dovrebbero esistere in una società moderna, che invece dovrebbe fare della diversità un valore e non uno strumento di discriminazione. Forse ciò che manca è una componente educativa sul valore dell’inclusione.
Affinché la diversità non venga più vista come un ostacolo ma come un’opportunità di arricchimento culturale e sociale. Forse è ora di rivedere alcuni programmi scolastici in cui nelle ore di storia si studiano per mesi le guerre puniche e si finisce con il discutere di antisemitismo e di apartheid negli ultimi giorni di scuola senza mai trattare la recente storia moderna. Forse è ora di iniziare a trattare le tematiche di diversità ed inclusione con meno superficialità, perché la superficialità è fonte di ignoranza e l’ignoranza è fonte di discriminazione. Perché razzismo, sessismo e omofobia sono fonti di sofferenza e dolore per tante persone che vivono nella paura a causa della loro identità, ovvero a causa di una presunta diversità che è tale solo per una maggioranza ottusa che non vuole condividere i proprio benefici e privilegi con altri e usa la diversità della minoranza come mezzo di marginalizzazione.
È fondamentale non minimizzare quando si tratta di episodi di razzismo, sessismo e omofobia, perché la presa in giro di un bambino di colore a scuola o di un immigrato nel parcheggio dell’ospedale è una forma di violenza che genera altra violenza; perché i commenti per l’abbigliamento di una donna o per la scelta di una figura femminile a capo di un gruppo sono una forma di violenza che genera altra violenza; perché la derisione della maglietta rosa di un ragazzo, dei capelli corti di una ragazza, o di una coppia dello stesso sesso che si tiene per mano è una forma di violenza che genera altra violenza. Troppe volte si guarda alla comunità LGBTQ+ con superficialità, come se il gay pride fosse solo un corteo multicolore di persone eccentriche (tanto per citare uno dei tanti pregiudizi), come se le sofferenze inferte a queste persone non esistessero, come se la storia non ci avesse insegnato nulla.
Si tratta proprio di quella parte storia recente che purtroppo non si studia mai a scuola, perché il gay pride così come lo conosciamo non nasce da un gruppo di persone che vogliono mostrare la loro diversità, ma nasce come forma di protesta contro le violenze nei confronti di persone LGBTQ+ nella città di New York. Questo episodio storico è noto come i ‘Moti di Stonewall’ e si riferisce ad una rivolta nelle strade di New York nel 1969 per i diritti della comunità LGBTQ+, ai tempi ancora marginalizzata a causa dei pregiudizi sull’omosessualità. La rivolta iniziò dopo una violenta retata delle forze dell’ordine allo Stonewall Inn, un gay bar di New York.
Il motivo della retata? La presenza di persone LGBTQ+ nel bar, anche se nello stato di New York l’omosessualità era legale a quel tempo. Mi sembra quasi strano parlare di depenalizzazione dell’omosessualità, perché per quanto la strada in materia di diritti LGBTQ+ sia ancora lunga, mi sembra naturale pensare, o forse sperare, che quasi nessuno che legga queste poche righe pensi all’omosessualità come ad un reato, ma è importante sottolineare come nel 2023 l’omosessualità rimanga ufficialmente reato in più di 60 paesi al mondo. Tornando ai fatti di Stonewall, a partire dall’anno successivo si tennero in molte città americane delle Pride Parade con l’obiettivo di ricordare i moti di Stonewall e accentrare l’attenzione sui diritti LGBTQ+.
Da manifestazioni di protesta si sono poi trasformate in celebrazioni della comunità LGBTQ+. Si tratta di una celebrazione, perché la manifestazione non è solo una sfilata di persone vestite in maniera stravagante, ma è un corteo tra ali di folla che si scambiano gesti di affetto e sostegno, è il cartellone di un papà che si dichiara orgoglioso di avere un figlio gay, è il tenersi per mano di una coppia di ragazze che per la prima volta si sentono al sicuro, è la felicità di ognuno dei presenti di non sentirsi soli e di non avere paura di mostrare la propria identità. Assumiamo di essere d’accordo sul fatto che ognuno di noi possa essere libero di scegliere la propria identità e orientamento sessuale e affrontiamo l’argomento che ha inspirato queste considerazioni, ovvero la legittimità del crescere figli da parte di coppie LGBTQ+.
La motivazione alla base della sentenza, o quantomeno del pensiero popolare, è che tutti i bambini abbiano bisogno di un padre e di una madre, ovvero della ‘famiglia tradizionale’. Anche se questo argomento, per alcuni, richiede l’allargamento della definizione di ‘famiglia tradizionale’ per opportunisticamente includere ex-coniugi, nuovi conviventi, e altre varianti di ‘famiglia tradizionale moderna’, in modo da risultare particolarmente conveniente a molti politici odierni. La motivazione a favore delle ‘famiglie arcobaleno’ è che un bambino è felice in un nucleo familiare dove c’è amore, indipendentemente dall’identità e orientamento sessuale dei genitori. Tuttavia, entrambe le motivazioni sono un po’ superficiali, generalmente poco argomentate e spesso frutto di orientamenti politici.
Per capire meglio questa tematica, è necessario affidarsi ad esperti in ambito socioeducativo, e in particolare delle scienze sociali sul benessere dei bambini. Studiando la letteratura in materia, si impara ad esempio che l’American Sociological Association ha elaborato una valutazione, sulla base della letteratura riguardante il benessere dei bambini, che indica che i bambini americani in famiglie di genitori dello stesso sesso hanno ottenuto valutazioni del tutto analoghe a bambini in famiglie di genitori di sesso diverso in una vasta gamma di categorie, quali prestazioni scolastiche, sviluppo cognitivo, sviluppo sociale, salute psicologica, attività sessuale precoce e abuso di sostanze. Le principali differenze nei risultati non dipendono dal sesso dei genitori ma sono fortemente correlate con le condizioni socioeconomiche e la stabilità della famiglia.
Sulla base di questi studi, è evidente come il non riconoscere la legittimità di figli di coppie LGBTQ+ sia una immotivata forma di discriminazione. La necessità di avere un padre e una madre è in realtà discutibile. Alcuni di noi hanno perso un genitore da piccoli e sono cresciuti solo con un padre o una madre. Non sembra ci siano dubbi che una donna possa crescere un figlio o una figlia da sola; quindi, perché mai due donne non possono farlo? Per la Procura di Padova apparentemente no, o meglio una mamma può farlo mentre l’altra può solo essere l’amica della mamma con delega.
Tiziano Ferro di recente ha pubblicato una canzone dal titolo ‘La prima Festa del Papà’ dove canta ‘Provo a nasconderti da questo dolore […] Neanche ti sognavo perché ti negavano a chi è come me’. Per lui, negli Stati Uniti, la prima Festa del Papà è arrivata, tanto attesa quanto quasi insperata. La decisione della Procura di Padova invece va nella direzione opposta. Ma una società che si dice inclusiva e non discriminante non può negare il diritto alla famiglia sulla base dell’orientamento sessuale dei genitori, perché non esistono genitori tradizionali e genitori arcobaleno, ma solo genitori bravi e genitori meno bravi e la bravura dei genitori non ha niente a che vedere con il loro orientamento sessuale.
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