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Caso Pamiro, il padre: «Mio figlio non si è suicidato»

Parla il genitore del docente trovato morto in un cantiere edile nel giugno del 2020. E intanto il gip si riserva sull’opposizione alla richiesta di archiviazione bis presentata dal pm

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

08 Giugno 2023 - 20:29

Caso Pamiro, il padre: «Mio figlio non si è suicidato»

Franco Pamiro e il figlio Mauro, morto a 44 anni

CREMA - Le foto del cadavere del suo unico figlio Mauro le guarda «ormai con gli occhi del detective». Papà Franco Pamiro, 82 anni compiuti da poco, da tre si batte in Tribunale nel tentativo di dimostrare che la notte del 28 giugno 2020, Mauro, 44 anni, professore di informatica all’istituito Galilei, non si uccise, lanciandosi dal tetto della palazzina in costruzione nel cantiere in via don Primo Mazzolari, a 200 metri dalla villetta in via Biondini. Il cadavere fu trovato dai muratori alle 8 del mattina di lunedì 29 giugno. «Qualcuno ha portato lì il cadavere. Basta vedere le fotografie».

E le fotografie, il papà le ha catalogate e raccolte in una cartelletta. L’ha portata anche oggi in Tribunale: il gip si è riservato sulla opposizione di papà Franco e di mamma Marisa alla seconda richiesta di archiviazione del pm Davide Rocco, nell’ambito dell’indagine aperta per omicidio volontario — come atto dovuto — a carico di Debora Stella, moglie del docente con la passione per la musica. Un’ udienza combattuta, durata circa un’ora e mezza, con il pm che ha insistito per l’archiviazione, così come l’avvocato Mario Palmieri, difensore di Debora, che il lunedì mattina, in commissariato rese dichiarazioni così strampalate da disporre il suo ricovero in Tso nel reparto di Psichiatria dell’ospedale. Vi rimase quindici giorni. Diagnosi: «Reazione dissociativa non specificata, intossicazione acuta da cannabinoidi in abuso da cannabinoidi». Il pm poi ritenne «ampiamente attendibili le dichiarazioni rese dalla donna nel secondo interrogatorio, successivo alle dimissioni dall’ospedale».


A fine udienza, papà Franco, ingegnere, ha mostrato le fotografie del corpo di suo figlio. Ad ogni scatto una domanda. Quesiti che, dal punto di vista del padre, smonterebbero le conclusioni di chi ha indagato sulla morte del 44enne: dagli investigatori (Squadra mobile e Polizia scientifica) al medico legale, ai periti che fecero l’ esperimento con un manichino, ipotizzando tre scenari. Ovvero, una caduta accidentale dall’esterno del ponteggio, una caduta dal tetto conseguente ad una spinta di terzi e la caduta da un tetto conseguente ad un salto volontario.

«Quest’ultima è l’unica ipotesi possibile rispetto ai tre scenari ipotizzati», per il pm. Ipotesi avallata anche dalla consulenza medico legale, secondo cui le lesioni interne che causarono la morte di Pamiro «sono compatibili con una precipitazione dall’alto». Agli atti dell’indagine ci sono anche i filmati di una telecamera che riprendono, alle 2 di notte, Pamiro incamminarsi, scalzo, verso il cantiere. Un suicidio, per la Procura. Ma i genitori non si rassegnano. I loro legali, gli avvocati Antonino Andronico e Gianluigi Tizzoni, hanno chiesto nuove verifiche.


In mezzo alla fronte del prof fu rilevato un forellino. Secondo chi ha indagato, è stato causato da un frammento di tegola rinvenuto accanto alla testa, sporco del sangue del professore. «Tra i nuovi accertamenti chiesti c’è una comparazione in 3D. Se lo spigolo della tegola è compatibile con il foro, cioè se lo spigolo entra in quel foro, va bene. È una verifica molto semplice», ha detto il padre. «Io sono uno pratico, concreto: basta osservare le fotografie per capire che Mauro non si è lanciato dal tetto della palazzina». Ha preso una fotografia. «Il capo di mio figlio è reclinato a destra. Perché il sangue scaturito dalla lesione sulla fronte, anziché colare a destra, come dovrebbe, si è coagulato centralmente?».

Ne ha preso un’altra: «Il frammento di tegola, cui è stata imputata la lesione sulla fronte, è adagiato sul terreno. Se il corpo di mio figlio è caduto da un’altezza di circa sei metri, impattando la tegola con la fronte, Mauro si sarebbe fratturato il naso. E invece, il naso non era rotto». Ancora un’altra: «L’avambraccio ha i segni impressi di una rete. Nel cantiere non c’erano reti. Mauro è stato ucciso altrove e trasportato nel cantiere. I legali hanno dibattuto sul video girato dalla polizia a Debora in commissariato: se fosse o no utilizzabile. Io non sono un leguleio, ma mi sembrano questioni inutili. La risposta è nelle fotografie».

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