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CIAO LUCA

Cremona piange il suo figlio prediletto

La forza di Gianluca Vialli non è bastata a vincere la battaglia contro il tumore al pancreas. Averlo avuto, conosciuto e ammirato ci ripagherà dell’infinito dispiacere di averlo perso

Marco Bencivenga

Email:

mbencivenga@laprovinciacr.it

07 Gennaio 2023 - 05:00

Cremona piange il suo figlio prediletto

«Quando ho saputo di essere malato mi sono dato due obiettivi a lunga scadenza: non morire prima dei miei genitori e accompagnare all’altare le mie figlie». Gianluca Vialli non potrà realizzare i suoi ultimi desideri, i più intimi e naturali per ogni uomo, padre e figlio. I muscoli e la forza mentale del campione non gli sono bastati per vincere la battaglia con il tumore al pancreas che durava dal 2017.

In realtà, «il cancro non è questo grande nemico da sconfiggere: è una sfida per cambiare sé stessi», aveva scritto con estremo coraggio Gianluca nell’ autobiografia intitolata «Goals», riuscito gioco di parole a cavallo fra due lingue. Se in italiano «gol» è solo il pallone che finisce nella porta avversaria, in inglese lo stesso termine ha un significato più ampio e profondo: indica un traguardo, un’aspirazione, un punto d’arrivo.

Usato al plurale - goals - si può tradurre in «obiettivi» e racchiude tuttò ciò che noi italiani chiamiamo semplicemente «voglia di vivere», quell’energia e quell’entusiasmo che hanno sempre caratterizzato Gianluca, il ragazzo di campagna cresciuto a Cremona e diventato cittadino del mondo, da 26 anni residente a Londra, ma con il cuore sempre qui, dove resteranno per sempre le sue radici.

Rovesciare la prospettiva e trovare un senso nuovo alla vita capita a tante persone, dopo una diagnosi infausta. Tutti sappiamo di avere un tempo limitato. Ma un conto è andarsene a cent’anni, tutt’altro a 58, come Gianluca. O a venti, come i giovani che perdono il controllo di un’auto e vanno a sbattere contro un muro, un albero o un camion. E non hanno scampo. A vent’anni non si ha neppure il tempo di rendersene conto. A 58 si è lucidissimi: in un istante si capisce cosa significa morire. Cosa si perde. Quanto male fa e quanto dolore dà. Non appena i medici pronunciano il loro verdetto, la mente riavvolge il nastro della vita, fotogramma per fotogramma: sogni, emozioni, lacrime, risate, gioie, dolori. Vittorie, sconfitte.

Vale per ogni malato e ancor più per un campione dello sport, che a vent’anni è re del mondo, a trenta raggiunge l’apice della carriera e a 35 è già considerato un ferro vecchio. Salvo non si inventi una nuova vita: allenatore, manager, dirigente, commentatore tv. O semplicemente marito, padre, amico. Gianluca Vialli si era speso a 360 gradi, dopo essere stato un campione assoluto sul campo: aveva allenato, commentato, accompagnato. E «riscoperto» il bello della famiglia. Eh sì, perché giocare a calcio è bello, regala soldi e successo, ma in cambio chiede molti più sacrifici di quanti se ne possano immaginare.

Dopo aver debuttato nella Cremo e aver vinto quasi tutto con la Sampdoria dei miracoli, la Juve del potere consolidato e il Chelsea dei nuovi ricchi, Gianluca era tornato idealmente a indossare la maglia azzurra della Nazionale, la più amata di tutte. Dal debutto nelle giovanili al trionfo di Wembley, come «capo delegazione» federale. Sempre protagonista, con stile inimitabile e mentalità vincente, ma anche i piedi ben piantati per terra. Con l’umiltà di chi non dimentica il punto di partenza.


A Cremona Gianluca non tornava soltanto a casa: a Cremona tornava bambino, quel ragazzino con i riccioli e il sorriso furbo che fratelli e amici più grandi consideravano il cucciolo della compagnia. Ma con la personalità del predestinato. A casa e al campetto di Cristo Re lo chiamavano «topolino». O «la peste», come ha ricordato l’amico Antonio Cabrini nella struggente lettera di incoraggiamento inviatagli meno di un mese fa tramite La Provincia.


Quando tornava a Cremona, Gianluca riabbracciava la famiglia e gli amici di sempre, riassaporava il sapore del salame nostrano, della mostarda e dei marubini. E non è un caso se dopo la conquista dell’Europeo - e quell’iconico abbraccio a Roberto Mancini - aveva scelto il santuario più vicino a casa per dire «grazie di tutto». Al destino, agli amici, alla Beata Vergine della Speranza di Grumello Cremonese. A Dio. Certo, negli ultimi tempi rivederlo sofferente - con il viso scavato, gli occhi stanchi, il maglione indossato per nascondere i chili persi - stringeva il cuore. Eppure Gianluca non cercava commiserazione. Anzi, era lui a fare coraggio agli altri, a trovare la forza per un autografo, un selfie o un sorriso. Nel telefonino conserverò come una reliquia il suo ultimo messaggio whatsapp: ore 14.22 del 16 dicembre. “Grazie!!!” e l’emoji delle dita incrociate ripetuto tre volte, in risposta al mio “Siamo tutti al tuo fianco”.

Ora che la Grande Partita è finita, Cremona perde il suo figlio prediletto, il calcio internazionale un campione assoluto, la famiglia un figlio, un marito e un padre. Oggi è il giorno delle lacrime. Per Vialli, il campione che si è arreso a un avversario sleale e bastardo. Oggi piangiamo Gianluca, il bambino di Cristo Re diventato campione e rispettato in tutto il mondo. Quando le lacrime si asciugheranno resterà il ricordo di un uomo speciale e averlo avuto, conosciuto e ammirato ci ripagherà dell’infinito dispiacere di averlo perso.

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