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IL CASO MARTINOTTI

«Operato senza biopsia», i periti si danno battaglia

L’ex primario di Chirurgia accusato di 4 omicidi colposi. In aula il caso Tanzini, deceduto a 51 anni

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

12 Ottobre 2022 - 21:24

«Operato senza biopsia», i periti si danno battaglia

Mario Martinotti

CREMONA - Per più di sei ore ha assistito alla battaglia tra i consulenti del pm e quelli dell’ospedale Maggiore, chiamato come responsabile civile nel processo che lo vede accusato di quattro omicidi colposi. Mario Martinotti, 65 anni, natali a Pavia, ex primario di Chirurgia, per ora ascolta, prende appunti. Poi, si difenderà. Intanto, oggi è stato affrontato il caso di Renzo Tanzini, 51 anni, morto il 15 agosto del 2016. Sfortunato, Tanzini. All’età di 35 anni viene operato per un cancro all’intestino e gli tolgono un pezzo di colon. Si scopre che ha la sindrome di Lynch, patologia genetica ereditaria che aumenta il rischio di sviluppare tumori come il cancro del colon. Nel 2016, un’altra batosta: Tanzini ha un tumore al duodeno che ha già infiltrato il pancreas. E un polipo al colon, al quale, però, non si fa la biopsia. Il polipo risulterà poi benigno.


Il primario Martinotti opta per fare le due operazioni contemporaneamente: una duodenocefalopancreasectomia e una colectomia. L’8 giugno del 2016, Tanzini viene portato in sala operatoria: otto ore di intervento, ma qualcosa va storto. L’intestino cambia colore, va in sofferenza ischemica. È un campanello d’allarme sulla interruzione del circolo sanguigno, una occlusione trombo-embolica all’arteria e alla vena mesenterica. Tanzini subirà altri sedici interventi prima di morire.
A processo, Martinotti ci è finito per aver associato due interventi, uno secondo l’accusa «inutile» visto che il polipo era benigno.

E per non aver effettuato in sala operatoria, «ad addome aperto», un’angiografia che avrebbe immediatamente consentito di individuare la natura e la sede della ischemia diffusa e di procedere chirurgicamente subito. L’8 giugno, l’intervento finisce alle 16.30. Alle 17,30 a Tanzini si fa una Tac «che conferma l’ischemia», alle 20.20 l’angiografia, esame più invasivo, che conferma la diagnosi della Tac. Ma sotto i ferri, Tanzini ci ritornerà a mezzogiorno del 9 giugno: 16 ore dopo. «Ed un ritardo così è scarsamente accettabile. L’aver atteso fino a mezzogiorno del giorno dopo è troppo. Il quadro vascolare era compromesso», sbotta Gianluigi Melotti, già primario chirurgo a Modena, ora in pensione e libero professionista. «La morte è riconducibile alla necrosi dell’intestino durante l’intervento dell’8 giugno», conferma Andrea Verzeletti. Melotti e Verzeletti sono i consulenti tecnici della Procura ieri rappresentata dal pm Vitina Pinto. Il fratello di Tanzini è parte civile con l’avvocato Guido Giarrusso.


Primo nodo: il polipo. Non aver fatto la biopsia, per Melotti è stato un errore, perché «si sarebbe scoperta la natura benigna e, quindi, prudenzialmente io ritengo che non fosse necessario fare l’intervento. Non era un cancro. Probabilmente, nel tempo la lesione di 4 centimetri si sarebbe trasformata in maligna, ma con uno screening la si teneva sotto controllo, al limite la si operava dopo due mesi». Secondo nodo. L’ischemia. In aula, Melotti fa due dietrofront rispetto a quanto aveva riversato nella sua perizia che ha poi portato il pm a formulare il capo di imputazione nei confronti del primario Martinotti.


Melotti aveva sostenuto che l’ischemia fu causata «da un laccio durante l’intervento». In aula recita il «mea culpa». «Non fu un laccio». E ad oggi (anche in assenza di autopsia) non si sa la causa. Solo ipotesi, nessuna certezza. Secondo dietrofront. Nella perizia, Melotti ha sostenuto che fu una imprudenza non fare l’angiografia subito, «ad addome aperto». In aula ritratta. «L’intervallo di un’ora, tra le 16,30 quando finisce l’intervento, e le 17,30, quando viene fatta la Tac, è legittimo, è conforme alle linee guida. Le linee guida dicono ‘il prima possibile’. Certo, nei sessanta minuti il sangue non affluisce. Se si fosse intervenuto subito dopo l’angiografia delle 20. 20, è altamente probabile che una parte elevata di intestino si sarebbe salvata. Io penso che la criticità sia l’aver operato Tanzini 16 ore dopo. Doveva essere immediatamente operato perché era un’urgenza».


I due «dietrofront» di Melotti fanno dire a Nicola Cucurachi: «Oggi mi sembra di assistere ad un processo diverso da quello per cui mi ero preparato». E a Paolo Soliani: «Il fantomatico laccio non esiste più». Cucurachi, medico legale a Parma, e il professor Soliani, chirurgo, referente organizzativo dell’Unità Operativa Chirurgie della Casa di cura Città di Parma, sono i periti dell’avvocato Diego Munafò, legale dell’ospedale Maggiore. Soliani rimarca come Melotti abbia «glissato» sulla sindrome di Lynch di cui era affetto lo sfortunato Tanzini. Non un particolare da nulla. «Questa malattia provoca la comparsa di tumori ricorrenti. Non siamo nella categoria dei tumori sporadici. La biopsia non è stata fatta prima? La lesione era ancora un adenoma, ma siamo sicuri che al 50% si sarebbe trasformato in cancro». Lo aveva già detto Roberto Grassia, primario vicario di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva.

«La colonscopia rileva una lesione neoplastica di 4 centimetri superficiale alla parte di colon che gli è rimasta. Meglio toglierla, anche perché la possibilità che dopo un anno diventasse maligna era molto alta». E allora, continua Soliani, «considerato il contesto, un uomo di 51 anni, anch’io avrei optato per la chirurgia combinata. C’è una équipe che sa fare dalla A alla Z. Trovo commendevole che l’équipe sia stata ‘sul pezzo’. ‘Te le giochi tutte, noi non ti molliamo, se sei d’accordo, noi procediamo’». Soliani smentisce ancora Melotti: «Non è vero che il paziente si sarebbe potuto operare dopo due mesi, ma dopo 5-6 mesi. Le vecchie scuole dicevano dopo nove mesi. E se dopo due mesi, l’adenoma si fosse trasformato in cancro? Tanzini avrebbe potuto dire: ‘Perché non me lo avete tolto quando mi stavate già operando?’». Sul caso si tornerà il 3 novembre, quando saranno sentiti il professor Marco Filauro, primario all’ospedale Galliera di Genova, il professor Davide D’Amico, luminare di fama internazionale, e Lorenzo Polo, medico legale responsabile di Medicina Legale del San Matteo di Pavia. È il pool di esperti messo in campo dagli avvocati di Martinotti: il professor Carlo Enrico Paliero, Luigi Fornari e Luca Curatti.

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