L'ANALISI
03 Luglio 2022 - 17:38
I resti di un sistema di palafitte (FotoLive/Raffaele Rastelli)
CALVATONE/CANNETO - La grande secca di questo periodo ha riportato alla luce nel fiume Oglio i resti di un sistema di palafitte risalenti presumibilmente all’età del Bronzo (2300-700 a.C.). Il tutto è visibile in località “Caradesa”, dalla parte di Calvatone.
Chi si trova a transitare lungo l’argine, sia sul versante cremonese che su quello mantovano, non può fare a meno di notare diversi paletti che emergono dalle scarse acque del fiume. Per approfondire il tema sono stati coinvolti gli esperti del gruppo Klousios, Centro studi e ricerche del Basso Chiese che hanno immediatamente contattato gli archeologi della Soprintendenza. Insieme ai carabinieri, questi hanno transennato l’intera area, che si intravede dall'argine di Canneto.
La medesima scena era apparsa nel 2003, anno della precedente grande secca, ma questa volta i resti delle palafitte sono meglio visibili perché il livello dell’acqua è ancora più basso rispetto a diciannove anni fa. Si ritiene, in coerenza con quanto era già emerso da precedenti studi, che le palafitte dovrebbero risalire all’età del Bronzo, probabilmente fra il Bronzo antico e inizio del Medio. Solo gli approfondimenti da parte della Soprintendenza potranno chiarire tutti gli aspetti dell’insediamento.
L’Oglio, periodicamente, in occasione della siccità, restituisce reperti del passato, visibili ad esempio nel museo archeologico Platina. Il 21 maggio 2015 nella sezione fluviale del museo venne collocata la piroga medievale rinvenuta nell’Oglio a Quinzano. La stessa operazione è stata ripetuta mercoledì 7 giugno 2017, quando una grande autogru ha posizionato una seconda piroga monossile, stavolta trovata a Piadena. Il reperto, come il precedente, era stato restaurato presso il Laboratorio della Soprintendenza Archeologia della Lombardia a Milano.
A proposito di palafitte, non si può non ricordare i resti palafitticoli ai Lagazzi, vicino a San Lorenzo Guazzone di Piadena, emersi alla fine del XIX secolo all’interno di una depressione morfologica ipotizzata lungo un ramo secondari del fiume Oglio. I primi scavi, ad opera di Francesco Orefici e Antonio Parazzi, hanno portato alla luce resti di pali lignei ancora posizionati verticalmente nel terreno. Si ritiene che il villaggio si estendesse per circa tre ettari. L’abitato era costituito da capanne rettangolari poste a circa 6 metri di distanza l’una dall’altra, su una piattaforma, di pali di legno inseriti nel terreno, ricoperta di argilla. I resti, appartenenti al sistema dei siti palafitticoli preistorici dell’arco alpino, sono stati riconosciuti come patrimonio mondiale Unesco.
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