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IL PUNTO DEL DIRETTORE

Quella voragine tra palazzo e cittadini

Il mancato quorum dei referendum sulla giustizia è solo la punta dell’iceberg. L’astensionismo ha vinto anche in tante città in cui si votava per le Amministrative, da Genova (dove solo il 44,1% dei cittadini è andato alle urne) a Palermo (41,9 %, complice lo scandalo della fuga degli scrutatori)

Marco Bencivenga

Email:

mbencivenga@laprovinciacr.it

14 Giugno 2022 - 05:00

Quella voragine tra palazzo e cittadini

In principio era una crepa. Poco più di un segnale d’allarme. Anno dopo anno, elezione dopo elezione, la crepa si è fatta più profonda: prima una frattura, poi un solco, poi un fossato... Da ieri la distanza fra Paese reale e palazzo è diventata ufficialmente una voragine: da un lato i cittadini, la gente comune (ma anche gli imprenditori, stanchi di lottare contro tasse e burocrazia, di dare tanto allo Stato e - in cambio - di ricevere poco); dall’altra la classe politica, una generazione di leader incapaci di sostituire le ideologie del Novecento con proposte «laiche» ma credibili, convinta che il cursus honorum valga meno di un tweet e che l’«uno vale uno» conti più della competenza.

Il flop dei referendum sulla giustizia, con il record negativo dell’affluenza al 20,9%, segna un punto di non ritorno nella storia della democrazia in Italia. Fatta la tara al traino delle Amministrative (si votava in 978 Comuni su 7.904, pari al 12,4% del totale) i cinque quesiti sulla giustizia hanno richiamato alle urne soltanto l’8,5% degli elettori. Il mancato raggiungimento del quorum era previsto, ma neppure il più pessimista degli analisti immaginava una simile diserzione di massa su un tema «che riguarda tutti». Vero: la Giustizia non è una materia che riguarda soltanto i delinquenti (mafiosi, camorristi, corrotti, spacciatori, stupratori...), ma interessa ognuno di noi, perché rappresenta un caposaldo delle istituzioni e perché davvero tutti, prima o poi, ci possiamo trovare vittime di un ladro o di un truffatore e vogliamo «avere giustizia». Ma proprio per questo, la materia deve essere maneggiata con cura. E non può essere oggetto di un referendum.

Commentando il disastro della mancata affluenza alle urne l’ex premier Giuseppe Conte ha fotografato la verità senza troppi giri di parole: «Gli italiani non hanno creduto che i referendum fossero un serio tentativo di migliorare la giustizia in Italia. Ai più, semmai, sono sembrati una vendetta della politica verso la magistratura», ha detto papale papale, mentre il senatore leghista Roberto Calderoli (primo sostenitore dei quesiti, con tanto di sciopero della fame a sostegno) ha gridato al complotto, puntando il dito contro la Corte Costituzionale, il Governo e i giornali, quelli che nessuno (o quasi) legge più, ma quando c’è da trovare un capro espiatorio, chissà perché, tornano improvvisamente ad avere un ruolo decisivo per le sorti del Paese.

Il vero problema è che i referendum rappresentano solo la punta dell’iceberg e se si guarda sotto la superficie del mare si scopre che l’astensionismo ha vinto anche in tante città in cui si votava per le Amministrative: a Genova, per esempio, è andato alle urne solo il 44,1% dei cittadini e a Palermo addirittura soltanto il 41,9%, complici i problemi ai seggi sorti a causa dell’improvvisa rinuncia di ben 174 presidenti di seggio e di un’infinità di scrutatori. Pare che nella stragrande maggioranza dei casi gli addetti ai seggi abbiano preferito andare a vedere la finale dei play-off che ha decretato il ritorno in Serie B della locale squadra di calcio.

«Senza scomodare l’etica della responsabilità, colpisce questo rompete le righe della democrazia in una grande città del Sud che la democrazia se l’è conquistata con il sangue dei suoi figli migliori, in quella stessa Palermo che appena tre settimane fa scendeva in piazza per il trentennale della strage di Capaci», ha commentato Goffredo Buccini sottolineando che «migliaia di giovani siciliani si erano schierati senza esitazioni dalla parte dello Stato» e ora si sentiranno in qualche modo traditi, non potendo esercitare «il più elementare dei diritti: decidere con il voto del proprio futuro».

Sarà l’inchiesta già annunciata dalla Procura a stabilire se a boicottare le Comunali di Palermo siano stati irresponsabili ultras della squadra rosanero o la mano invisibile della mafia, dopo le polemiche e gli arresti dei giorni scorsi, proprio alla vigilia del voto. Quale che sia la verità, in bocca resta il sapore amaro della sconfitta, il dubbio di vivere in un Paese allo sbando, in cui ognuno pensa al proprio tornaconto personale o a lucrare qualcosa a un sistema malato. «È finita la pacchia», aveva promesso qualcuno tempo fa, dopo aver annunciato di aver «abolito la povertà». Come minimo, ha peccato di ottimismo.



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