L'ANALISI
05 Giugno 2022 - 05:00
Fra una settimana esatta andremo a votare. Meglio: saremo chiamati alle urne, perché il diritto di voto è un dovere soltanto per le Elezioni (e le Amministrative in provincia di Cremona riguarderanno solo quattro Comuni: uno importante come Crema e tre minori come Pozzaglio, Torricella del Pizzo e Credera) mentre per i Referendum la partecipazione è facoltativa e anche stavolta - c’è da scommetterci - il quorum non sarà raggiunto.
La previsione è facile, considerato il fatto che negli ultimi 25 anni la soglia minima per la validità di un referendum abrogativo è stata raggiunta solo 4 volte su 29 (tutte nel 2011, quando si votava su acqua pubblica, tariffe del servizio idrico, energia nucleare e legittimo impedimento) mentre negli altri 24 casi l’affluenza alle urne è stata in media del 30% (dal 23,3 per cento del referendum 2009 sull’assegnazione del premio di maggioranza alla lista più votata - anziché alla coalizione - al beffardo 49,6 per cento del 1999 sull’abolizione della quota proporzionale nelle Elezioni Politiche per la Camera). Un po’ meglio a livello di partecipazione è andata negli ultimi vent’anni con i referendum costituzionali (3 su 4 oltre la soglia del 50%), ma paradossalmente erano proprio quelli per i quali non era previsto un quorum.
Stavolta la soglia minima sarà decisiva e... non sarà raggiunta: da un lato sarà un peccato, perché il tema in gioco è importante e riguarda tutti (la giustizia); dall’altro lato sarà quasi un sollievo, perché è difficile immaginare con quale spirito - soprattutto, con quale competenza - il cittadino medio possa esprimersi su materie che riguardano l’ordinamento giudiziario e le regole del processo penale.
Se sulla separazione delle carriere fra giudici e pm si potrebbe anche votare «a intuito» (ma siamo sicuri che tutti gli italiani sappiano qual è la differenza fra un magistrato inquirente e un magistrato giudicante, ovvero - in soldoni - fra chi rappresenta l’accusa e chi emette la sentenza?), per un comune mortale è difficile comprendere se sia meglio che avvocati e professori universitari membri di un Consiglio giudiziario possano dare un voto all’operato di un magistrato e alla sua professionalità oppure no (é il cosiddetto Quarto quesito) o se sia giusto o sbagliato che un magistrato debba raccogliere da 25 a 50 firme per potersi candidare al Csm (Quinto quesito).
Molto tecnici sono anche il Secondo quesito (quello che chiede di togliere la «reiterazione del reato» dai motivi per i quali un giudice possa ordinare l’arresto di una persona a indagini in corso, quindi prima dell’inizio del processo a suo carico) e il Primo (quello che vorrebbe abrogare la parte della Legge Severino che prevede l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica per parlamentari, membri del Governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali in caso di condanna per reati gravi). Ovviamente, nessuno mette in dubbio il diritto di ogni cittadino a esprimere le proprie opinioni, le proprie idee politiche e la propria libertà di scelta.
Ma la domanda giusta è: quanti cittadini saprebbero spiegare la differenza fra incandidabilità e ineleggibilità? E quanti conoscono le modalità di elezione di un membro del Consiglio Superiore della Magistratura (sarebbe già sufficiente se sapessero cos’è il Csm)? La verità è che affidare certi quesiti alla volontà popolare non è un atto di democrazia, ma un’ipocrisia, una forma di populismo alla «uno vale uno», principio tanto bello in teoria quanto inapplicabile nella realtà. Un conto è chiamare il popolo a esprimersi su macro-principi come il divorzio o l’aborto; tutt’altro pretendere che gli italiani si improvvisino esperti di procedura penale e diritto costituzionale. Vero è che siamo già un popolo di «eroi, santi, poeti, artisti e navigatori» (cit) ma abbiamo già visto durante la pandemia come sia pericoloso attribuire patenti di competenza a tronisti, veline e tuttologi dei salotti tv.
Dopo la moltiplicazione di virologi, epidemiologi e infettivologi - recentemente soppiantati dagli esperti di guerra, di strategie belliche e di politica internazionale - sarebbe bello che ognuno tornasse a fare il proprio mestiere. A partire dai parlamentari, quei 630 deputati e 315 senatori che paghiamo profumatamente per rappresentarci e per decidere al posto nostro su materie tanto delicate e complesse e a volte, invece, sembrano preoccuparsi soltanto della propria visibilità mediatica, del proprio futuro o del proprio tornaconto elettorale.
Forza, signori e signore! Fate il vostro dovere, concludete i lavori che si trascinano da mesi sulla riforma della giustizia, se serve confrontandovi anche aspramente alla ricerca della miglior soluzione possibile. Solo così onorerete il vostro ruolo e la prossima volta eviterete di farci spendere milioni di euro per organizzare un referendum che non ha una sola possibilità di portare ai seggi un sufficiente numero di cittadini ed essere dichiarato valido.
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