L'ANALISI
01 Giugno 2022 - 05:15
Il palazzo di Giustizia di Cremona
CREMA - Quando la sera del 15 luglio 2020, la gelosia gli armò la mano di un coltello, ferì all’orecchio e all’addome il presunto rivale in amore, non voleva, però, ucciderlo. Per il Tribunale non è stato un tentato omicidio, come aveva sostenuto il pm, Chiara Treballi, nel chiedere 13 anni carcere, ma lesioni personali aggravate: 3 anni e 4 mesi di reclusione. È la condanna inflitta ieri ad Alfio Scimonelli, 48 anni, una vita dentro e fuori dal carcere. Scimonelli, l’uomo che nel darsi la patente di «fidanzato storico» di Sabrina Beccalli, quella sera accoltellò Giovanni Lucchetti, 45 anni, in via Martini, nel quartiere di San Bernardino.
Sabrina non c’è più. È morta esattamente un mese dopo, a Ferragosto, nella casa di Alessandro Pasini («per overdose», dice lui assolto in primo grado dall’accusa di omicidio; uccisa da Pasini, per la Procura che ha impugnato la sentenza). Sabrina aveva 39 anni. Pasini bruciò il suo corpo nella Fiat Panda di lei data alle fiamme nella campagna di Vergonzana (da qui la condanna a 6 anni). Un mese prima Sabrina guidava la sua Panda con al fianco l’amico Giovanni, quando arrivò Scimonelli. «Lucchetti ha aperto la portiera, non ha fato neanche in tempo a scendere. Scimonelli lo ha accoltellato all’orecchio e all’addome», ha detto il pm. Lucchetti percorse 200 metri, raggiunse il Bar Stati Uniti. Si accasciò. «E’ stato Alfio» , disse alla titolare. Arrivò l’ambulanza. In ospedale il chirurgo gli ricucì la ferita all’addome: 3 punti. Marco Monti è direttore generale dell’Asst di Crema che il giorno dopo guardò la Tac per verificare se ci fossero lesioni agli organi. «Si trattava di una ferita da taglio compatibile con una lama, della profondità di 3/4 centimetri, che aveva raggiunto il peritoneo, procurando una piccolissima lacerazione e l’entrata di qualche bollicina di aria», ha detto al processo». Il giorno dopo, Lucchetti firmò per uscire dall’ospedale contro il parere dei medici. E non denunciò Scimonelli, lui già in carcere a Cremona (ora è detenuto a Pavia).
Come andò, lo ha già raccontato Lucchetti ai giudici: «Io e Alfio ci conosciamo da una vita. Siamo cresciuti insieme. Quel giorno avevo incontrato Alfio e Sabrina che mi avevano invitato da loro a pranzo. So che i due si frequentavano. Con Sabrina, eravamo amici. Mi avevano chiesto di restare anche a cena, così verso le 16 io e Sabrina siamo usciti per andare al bar vicino a casa sua. Abbiamo comprato del vino, ma ci siamo anche fermati a bere qualcosa». Verso le 18,30 Sabrina e Giovanni salirono sulla Panda per rincasare da lei. «Ho visto Alfio venire verso di noi - aveva fatto mettere a verbale Lucchetti —. Sabrina mi ha detto: ‘Scendi, perché sennò questo mi ammazza’. Ma lui ha aperto la portiera dove ero io, dalla parte del passeggero e mi ha sferrato prima un fendente all’orecchio e poi allo stomaco».
Lucchetti non vide l’arma. Vide, invece, «Alfio che ha preso per il collo Sabrina: si è allontanato in macchina con lei. Io avevo il sangue che zampillava dall’orecchio e la maglietta bianca sporca di sangue all’altezza dell’addome». «La violenza del colpo inferto è stata di minor entità magari per circostanze indipendenti dallo scopo dell’imputato, aveva sostenuto il pm che aveva parlato di «sentimento malato», di «tentato omicidio per futili motivi; motivi spropositati». «Non si può fare un processo alle intenzioni — aveva ribattuto l’avvocato Mario Tacchinardi —. Non è stata attinta alcuna zona vitale, Lucchetti in nessun momento ha rischiato la vita». Tra 90 giorni la motivazione della sentenza.
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