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Letizia Moratti: «Nuovo ospedale all’avanguardia. Il Dea? Arriverà di conseguenza»

«Più risorse per la presa in carico e l’ assistenza domiciliare. La nuova sanità si occuperà della persona e non solo della malattia»

Marco Bencivenga

Email:

mbencivenga@laprovinciacr.it

27 Maggio 2022 - 05:25

Letizia Moratti: «Nuovo ospedale all’avanguardia. Il Dea? Arriverà di conseguenza»

La vicepresidente di Regione Lombardia e assessore al welfare Letizia Moratti

CREMONA - Letizia Moratti — vicepresidente e assessore al welfare della Regione Lombardia — oggi sarà a Soresina per inaugurare la prima Casa di comunità della provincia di Cremona. Alla vigilia del taglio del nastro ha concesso un’intervista a «La Provincia» per spiegare i contenuti della nuova legge sanitaria regionale e per fare chiarezza sul tema dell’attribuzione (o meno) del Dea di secondo livello all’ospedale di Cremona, in un bacino che comprende anche la provincia di Mantova e il suo storico presidio territoriale, l’ospedale Carlo Poma.


Risultato del chiarimento? Apparentemente una sconfitta per Cremona, perché le sue ambizioni sono subordinate alla realizzazione del nuovo Ospedale Maggiore; in realtà, una cambiale a lunga scadenza perché l’ospedale del futuro sarà all’avanguardia sia dal punto di vista tecnologica sia a livello funzionale proprio grazie al rilevante investimento garantito dalla Regione. Che non ha alcuna intenzione di farsi autogol, spendendo tanti soldi per un «ospedalino» di secondo livello, ma in questo momento non ha neppure la possibilità concreta di attribuire l’insegna contesa sapendo che la nuova struttura — nel migliore dei casi — sarà pronta fra 3-4 anni.

In sostanza: Mantova già entro pochi mesi avrà tutti i requisiti necessari per ottenere il riconoscimento (e per questo lo otterrà sicuramente); Cremona, beneficiata da un investimento da 330 milioni di euro, entrerà in gioco quando la nuova struttura sarà finita: a quel punto (e solo a quel punto, perché oggi non sarebbe possibile) avrà le carte in regola per ottenere lo status superiore — che significa più risorse e più personale a disposizione — confidando in un’eccezione alla norma (la stessa che sta per essere concessa alla Valtellina) o nell’aggiornamento dei parametri richiesti. Da qui la precisazione politica che «il derby Cremona-Mantova non esiste», l’ammissione implicita che oggi la tempistica favorisce il Carlo Poma, ma anche — fra le righe — l’assicurazione che a medio termine il «Nuovo Maggiore» si prenderà la rivincita.

L'INTERVISTA

Vicepresidente Moratti, nella tappe del suo Tour che hanno preceduto l’appuntamento di Soresina, lei ha dichiarato che «la nuova sanità prenderà in carico la persona, non la malattia». L’immagine è bellissima, la sfida ambiziosa, ma come si tradurrà in termini pratici per non restare solo uno slogan?


«È un’immagine ‘figlia’ della pandemia che da una parte ha messo a nudo alcune criticità della nostra sanità territoriale e dall’altra, pur nella drammaticità di quei momenti, ci ha lasciato esperienze e storie bellissime di umanità, competenza, professionalità dove la persona è stata al centro - risponde l’assessore al welfare della Lombardia -. Questa immagine dovrà essere la pietra miliare della nostra sanità, ma giustamente non dovrà essere uno slogan. Fin dai primissimi passi del potenziamento della legge ci siamo adoperati in questo senso. Lo dimostrano l’ascolto e il confronto con medici, operatori sanitari, dirigenti delle strutture, sindacati, associazioni e amministrazioni comunali, che hanno contraddistinto tutto il percorso della nuova legge. C’è poi da sottolineare il grande sforzo economico, sia con risorse proprie di Regione Lombardia, pari a 800 milioni di euro, sia con le opportunità del Pnrr, pari a 1,2 milioni. Siamo consapevoli del fatto che ci sono alcune difficoltà che attendono di essere risolte, come ad esempio la carenza dei medici di medicina generale. Ma proprio per questo mi sono fatta promotrice di una proposta bipartisan al Ministero della Salute, condivisa da tutte le Regioni, per una riorganizzazione dei medici di medicina generale, per la quale attendiamo una risposta. Nel frattempo, sono state adottate misure che serviranno ad affrontare il problema: dalla convergenza tra guardia medica e medici di medicina generale alla possibilità della scelta e revoca in farmacia a parole dall’estate (possibilità che dovrebbe semplificare e sburocratizzare per i cittadini la procedura per avere un sostituto), dagli incarichi provvisori all’innalzamento dei massimali, cioè del numero degli assistiti per ogni medico. È stato poi aumentato il numero delle borse di studio che saranno 868 nel 2024, quasi tre volte quello degli anni precedenti. Per incentivare, poi, i nuovi medici ad aprire uno studio, sono stati individuati degli spazi da concedere a canone calmierato in collaborazione con Aler. Siamo convinti di aver intrapreso la strada giusta. I riscontri sulle prime Case e sugli Ospedali di Comunità attivati in altre province ci danno conferma di queste sensazioni. È un apprezzamento positivo che sto raccogliendo sia parlando con gli operatori delle strutture, sia con la gente comune. È evidente però che non esiste la bacchetta magica per dare soluzioni immediate a tutto. Come abbiamo fatto nel percorso che ha portato alla nuova Legge sanitaria lombarda, saremo sempre a disposizione per ascoltare il territorio per raccogliere suggerimenti e sollecitazioni, specie se fatti con spirito costruttivo».

Grazie anche alla drammatica esperienza della pandemia, da lei appena ricordata, la nuova legge prevede una maggiore attenzione all’assistenza domiciliare: su quali servizi sarà sviluppata in particolare?


«La maggior attenzione della nuova legge si concretizza nel concetto della casa come primo luogo di cura. In questa direzione, il nostro obiettivo è il potenziamento dell’assistenza domiciliare integrata grazie alla presenza diffusa sul territorio proprio delle Case di Comunità e degli ambulatori sociosanitari come punto di riferimento per il cittadino. Quella degli ambulatori socio sanitari territoriali è un’innovazione tutta lombarda. Saranno ambulatori distribuiti in modo più capillare sul territorio grazie anche alla presenza di medici di medicina generale in associazione. Sarà garantito il collegamento in rete con le Case di Comunità. Gli ambulatori saranno realizzati in edifici che potranno essere messi a disposizione dai Comuni e che verranno ristrutturati con fondi regionali assegnati e programmi di investimento specifici. È poi prevista l’implementazione delle risorse che consentiranno di rafforzare la presa in carico delle persone che necessitano di assistenza domiciliare. L’obiettivo passare dall’attuale 5 al 10% di pazienti over 65 cronici presi in carico entro il 2026».

A proposito di assistenza domiciliare, spesso in Lombardia i malati oncologici gravi sono ottimamente curati in ospedale, ma si trovano di fronte a una rete molto frammentaria di servizi non appena vengono dimessi: gli hospice disponibili sono pochi, trovare posto è difficile e le degenze non possono superare un determinato numero di giorno, tanto che molte famiglie si trovano in difficoltà. Se anticipano troppo il ricovero, poi rischiano lo «sfratto» nel momento in cui ne hanno maggior bisogno; se attendono le ultime settimane utili, faticano nella gestione domiciliare del malato. Come se ne esce?


«Regione Lombardia ha potenziato non solo il settore delle cure palliative residenziali, ma soprattutto quello delle cure palliative domiciliari. L’obiettivo è offrire risposte domiciliari, ambulatoriali e residenziali. Davanti a questo ventaglio di opportunità, le famiglie possono rivolgersi al servizio più appropriato. Un particolare sforzo di potenziamento è stato rivolto alle cure domiciliari. Basti pensare che il budget per le cure palliative domiciliari è passato dai 41,8 milioni del 2018 agli oltre 51,6 milioni del 2022. Più in generale, oggi la rete lombarda delle cure palliative può contare su oltre 70 hospice, 34 ambulatori di cure palliative, 22 day hospice e oltre 120 strutture accreditate per cure palliative domiciliari. In crescita anche i posti letto complessivi disponibili. Sugli hospice non sono previsti a livello normativo limiti per la durata della degenza. In considerazione dell’esigenza di soddisfare al massimo la crescente domanda, le strutture cercano di ottimizzare le ‘politiche’ di ammissione per garantire l’appropriatezza del ricorso a questo servizio. È evidente che si cerca di evitare di negare l’accesso a utenti all’apice del bisogno a causa dell’utilizzo dei posti per utenti i cui bisogni potrebbero essere soddisfatti mediante altre modalità. L’obiettivo è assicurare ai malati terminali la massima continuità assistenziale tra i diversi setting. Premesso che la principale causa di conclusione delle dimissioni dagli hospice è il decesso (oltre il 75% dei casi nel 2021), anche nelle restanti casistiche prevalgono le tipologie di dimissioni che presuppongono la continuità assistenziale presso altre strutture del Sistema sanitario regionale o attraverso servizi domiciliari. La Lombardia è la regione che, in assoluto, assicura i maggiori volumi di assistenza residenziale ai malati terminali. Secondo l’annuario statistico del Sistema sanitario nazionale, nel 2019 sono stati assistiti in strutture residenziali per pazienti terminali 151,9 utenti ogni 100.000 abitanti, a fronte di una media nazionale di 84,2».

Perché le convenzioni con le diverse realtà dell’assistenza domiciliare sono affidate alle singole Ats, con ampio margine di discrezionalità? Oggi una stessa realtà può essere convenzionata con una Ats e non essere «riconosciuta» dall’Ats confinante. Perché non pensate a un Albo regionale?


«Gli enti erogatori di cure domiciliari per poter esercitare l’attività devono essere necessariamente accreditati, con relativa iscrizione nell’apposito albo regionale. Il convenzionamento avviene, ai sensi dell’attuale ordinamento, con l’Ats territorialmente competente. Ciò consente un legame con il territorio, assicurando un governo delle risorse in base allo specifico fabbisogno locale, in un’ottica di prossimità e di governance integrata con il resto dei servizi sanitari territoriali. Nell’attuale sistema di accreditamento esistono elementi di flessibilità che consentono di riconoscere un raggio di azione anche oltre gli stretti confini dell’Ats. Ad esempio, un ente accreditato per cure palliative domiciliari in una Ats può ‘sconfinare’ oltre il perimetro dell’agenzia, chiedendo l’accreditamento in una Asst limitrofa fuori Ats. Al momento per l’Assistenza domiciliare integrata ordinaria è sufficiente chiedere l’accreditamento in una sola Ats per potersi considerare accreditati ad erogare in tutto il territorio regionale».

Nell’ottica della medicina territoriale, la nuova legge assegna nuove competenze alle farmacie: quale ruolo saranno chiamate a svolgere, in particolare?


«Con le farmacie c’è un rapporto di proficua collaborazione. Sono il nostro primo presidio sul territorio e spesso sono caratterizzate da un rapporto di grande fiducia, a volte anche di amicizia, con i cittadini. Sapere di avere un punto di riferimento di questo tipo è stato fondamentale nella fase più emergenziale della pandemia. Per questo le farmacie sono state un valido interlocutore nella redazione della legge sulla sanità regionale. È dunque un rapporto che vogliamo consolidare oltre la pandemia e anche attraverso l’esperienza della nuova legge. Ad esempio, proprio le Case di Comunità opereranno in sinergia con la rete delle farmacie per garantire l’aderenza terapeutica nella presa in carico. Vogliamo poi portare in farmacia anche il servizio di scelta e revoca per facilitare i cittadini».

In provincia di Cremona è infuocato il dibattito sul futuro del nuovo ospedale Maggiore: dato atto alla Regione dell’ingente sforzo economico sostenuto per finanziare l’opera, quanto cambierà nell’organizzazione del nuovo ospedale l’attribuzione o meno del Dea di secondo livello?


«Il nuovo ospedale di Cremona sarà una delle prime nuove strutture in Italia realizzate dopo il Covid e le risorse stanziate sono davvero importanti. La seconda considerazione è che proprio alla luce di un intervento così importante, il Maggiore rappresenterà un vero e proprio modello non solo per la Lombardia, ma anche in ambito nazionale e internazionale. Sarà una struttura avveniristica, tecnologicamente avanzata, ecosostenibile, non invasiva sul territorio, anzi immersa nel verde del ‘parco della salute’ che sarà realizzato contestualmente. Le linee guida che ispireranno la nuova struttura, da realizzarsi attraverso un concorso internazionale di progettazione, sono state presentate in un convegno all’Expo di Dubai sulla sanità del futuro dove appunto Cremona, la città, la sua storia e cultura, sono state protagoniste. In tema di dibattito sui Dipartimenti Emergenza Accettazione (Dea) di secondo livello per Mantova e Cremona, come abbiamo detto nei giorni scorsi, la pandemia ci ha imposto di rivisitare e ripensare complessivamente tutte le reti. Solo dopo la loro approvazione si giungerà al lavoro di valutazione anche della rete di Emergenza-Urgenza e quindi ai Dea di I e di II livello. Per Cremona un elemento fondamentale sarà proprio la progettazione del nuovo ospedale che conterrà tutti i servizi e tutte le specialità in grado di permettere l’assegnazione del Dea di II livello al nuovo presidio».

Quanti sono i Dea di secondo livello in Lombardia? Davvero sia il «nuovo» Maggiore di Cremona sia il Carlo Poma di Mantova possono ambire a ottenere un simile riconoscimento?


«Regione Lombardia ha 13 DEA di secondo livello e ne prevede un quattordicesimo per il territorio della Valtellina. Il Poma di Mantova, grazie all’arrivo di Neurochirurgia, potrà vantare tutte le specialità potenziali per ottenere il Dea di secondo livello. Per Cremona inseriremo nel progetto del nuovo ospedale tutte le specialità in grado di assicurarle potenzialmente il Dea di secondo livello. Alle persone interessano i servizi concreti offerti sul loro territorio e la presenza di specialità in grado di rispondere alle reali esigenze di cura. Sarà così sia per Mantova sia per Cremona».

Quali sono le caratteristiche peculiari della Casa di Comunità di Soresina che si appresta a inaugurare?


«Si tratta di una struttura che con una mission orientata alla sanità territoriale e di prossimità va a proseguire l’attività che già da anni è portata avanti con il ‘nuovo Robbiani’. In questa prima fase di attivazione delle Case di Comunità si tratta di strutture che già appartengono al patrimonio del Sistema sanitario regionale e in moltissimi casi sono realtà che sono sentite come un ‘qualcosa di proprio’ da tutta la cittadinanza. Ho potuto toccare con mano come molte persone siano molto affezionate a quanto a tutti gli effetti fa parte della storia dei loro Comuni. Per Soresina, le caratteristiche principali dei servizi sono quelle che fanno da comun denominatore alle realtà protagoniste del potenziamento della nostra sanità: il punto unico di accesso, la medicina generale, il servizio di assistenza domiciliare, la medicina specialistica e la diagnostica ambulatoriale, gli infermieri di famiglia, il centro unico di prenotazione, l’integrazione con i servizi sociali per la cronicità, i servizi di guardia medica, il punto prelievi, i consultori, gli screening, i servizi per la salute mentale, le vaccinazioni. Mentre il valore aggiunto, la peculiarità, il fiore all’occhiello sarà rappresentata da un progetto di teleriabilitazione dedicato agli over 65 con patologie croniche. È un progetto che verrà presentato proprio oggi e che sono molto curiosa di vedere dal vivo».

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