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Giovani e dipendenze: «La generazione social vive una vita parallela»

Fra realtà e «mondo dei balocchi» crescono le insidie: raddoppiati i ragazzi seguiti. Biscaldi: «Serve consapevolezza». Pellai: «Dobbiamo aiutarli a gestire le emozioni»

Nicola Arrigoni

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narrigoni@laprovinciacr.it

25 Maggio 2022 - 10:46

Giovani e dipendenze: «La generazione sociale vive una vita parallela»

CREMONA - «Mai come in questo periodo sono aumentati gli accessi al Pronto Soccorso di ragazzini fra gli 11 e i 15 anni che si fanno male in casa. Il motivo? Giocando ai videogame con i visori per la realtà aumentata, perdono la cognizione della realtà».

È uno degli esempi tratti dal quotidiano che il medico e psicoterapeuta Alberto Pellai ha offerto alla platea ieri pomeriggio, in sala Zanoni, nel corso dell’incontro «Adolescenze online», organizzato dal Servizio Dipendenze dell’Asst di Cremona.

Con Pellai è intervenuta l’antropologa e docente universitaria Angela Biscaldi, che ha offerto una riflessione sui cambiamenti comunicativi indotti dai new media.

trio

Alberto Pellai, Roberto Poli e Angela Biscaldi

A precedere le due relazioni sono stati gli interventi di Salvatore Mannino, direttore generale di Ats Valpadana, dell’assessore Rosita Viola e di Franco Spinogatti, direttore del Disma.

Roberto Poli ha illustrato i dati del fenomeno delle ludopatie prese in carico dai servizi: da gennaio ad oggi sono stati 53 i casi, raddoppiati rispetto all’anno passato. Ma è la punta dell’iceberg: oggi il gioco è soprattutto online e in buona parte sommerso. Si comincia a parlare di dipendenza con sei ore di collegamento nell’arco della giornata. È stata poi la volta del racconto delle esperienze portate avanti da Azienda sociale, rappresentata da Elisa Arcari, e da Concas con Cristina Cozzini, alla presenza di Irene Ronchi, referente del progetto Gap. In questo contesto, gli orizzonti tracciati da Biscaldi e Pellai sono parsi non solo funzionali, ma preventivi se si pensa alle dipendenze da media e da social.

Biscaldi ha sottolineato come ogni comunicazione sia sempre e comunque mediata, anche quella apparentemente più naturale e spontanea, e come i nuovi media non sostituiscano quelli già esistenti, ma certo modifichino la tipologia di comunicazione. «I ragazzi sono sempre più abituati a una comunicazione essenziale, paratattica, iconica e veloce — ha detto Biscaldi —, un’abitudine che anche noi adulti subiamo e condividiamo. E su cui dobbiamo tutti riflettere».

L’antropologa ha chiamato i presenti a un atto di responsabilità: diventare consapevoli dei cambiamenti e degli interrogativi che l’utilizzo di smartphone e new media innesca nei ragazzi e nel modo di comunicare. E a fornirne un esempio è stata la ricerca condotta sul campo con studenti del Munari, chiamati a mettersi alla prova con una settimana senza social.

Pellai ha sottolineato come nelle testimonianze dei ragazzi di Crema il vivere senza social abbia chiamato in causa parole ricorrenti come vuoto, niente.

«I social sono come dice Umberto Galimberti un ambiente in cui i ragazzi vivono e agiscono in un’età in cui il cervello muta — ha affermato lo psicoterapeuta —. Sempre più spesso mi capita di avere casi di genitori picchiati dal figlio a cui hanno impedito di finire la partita a Fortnight. Il rischio è che ciò che vivono in realtà aumentata diventi realtà vera. I videogiochi sono pensati per accendere e facilitare reazioni dopaminergiche, ovvero far provare piacere. E la ricerca di quel piacere innesca dipendenza. E per evitare di cadere nel patologico è necessario attivare quelle azioni di riflessività e consapevolezza cui faceva riferimento Biscaldi. Ma serve tempo, educazione e figure che possano aiutare i ragazzi a gestire le emozioni e ad esserne consapevoli».

Nel mondo vero ma anche in quello virtuale: «Che è pur sempre un mondo dei balocchi a cui è difficile sottrarsi». 

L'INTERVENTO DELL'ESPERTO

«Sfilano silenziosi a testa bassa sull’immancabile schermo luminoso che accompagna le loro giovani mani adolescenti. Eccola, la generazione Z (1997-2010), i figli della generazione X (1965-1980). Conosciuti anche come Centennial, Digitarian, Gen Z,  ma certamente nativi digitali. Dentro a quel piccolo schermo connesso, un potere infinito, affascinante e spaventoso al tempo stesso.  Il concetto di telefono è andato smarrito dietro a tutte quelle magnifiche, sfavillanti applicazioni che promettono magie digitali senza precedenti. Filtrano, deformano, dipingono, abbelliscono, cambiano, raccontano, informano, creano un mondo attraente e diverso da questo - spiega Gianluigi Cavallo, Digital Strategist & Director Miles33 -. Dietro ad ogni icona, la ferma volontà di razziare il loro tempo, ubriacandoli di endorfine e misere ricompense temporizzate da algoritmi famelici di attenzione, dati e statistiche.

cavallo

Gianluigi Cavallo

Si! Questa generazione è nata connessa, collegata al più potente strumento di comunicazione e distrazione di massa mai creato prima. Un sistema capace di farli sentire insieme, isolandoli.   Si chiama smartphone ma di «phone» ha proprio poco. O meglio: forse è la scusa che ci serve per consegnarlo nelle loro mani così giovani.  Infatti in tutti gli studi di settore e i sondaggi l’applicazione meno usata è proprio quella del telefono.

Sia la Gen Z che la nuovissima Generazione Alpha (nati dopo il 2012) predilige messaggiare testualmente e riservare i messaggi audio solo a rapporti più confidenziali.

Siamo di fronte ad un declino o ad una crescita?  Il mondo che gli abbiamo costruito li disturba sicuramente. Sembrano indispettiti dal dover destinare parte della loro attenzione al mondo fisico, mentre si occupano della loro «virtualità». Testa bassa, occhi sul telefono, cuffiette, si dirigono distratti e concentrati nelle direzioni che li attendono: autobus, case, macchine, caffe.

Ma chi ha causato tutto questo? Beh, noi sviluppatori e analisti conosciamo bene il motivo: profitto.

La tecnologia che ci connette, ci osserva, ci analizza e tenta di manipolarci ogni giorno, ma anche ogni notte. Per avere un quadro chiaro della situazione, vi consiglio di non perdere «The social dilemma» su Netflix, docufilm «Official Selection» del Sundance festival 2020 visto da 38 milioni di persone nelle prime quattro settimane di programmazione. Una parola: sconvolgente. Qui troverete molte delle persone che hanno creato da zero i meccanismi di ingaggio e ricompensa presenti in tutte queste app-trappole, acchiappa emozioni e strizza cervelli.

Persuasive tecniche di design, notifiche push, infinite scroll capaci di creare un continuo loop di ricerca e ricompensa, capace di tenerci ancorati sugli schermi. È la prima generazione per cui la distinzione tra online e offline, tra vita reale e vita virtuale, ha perso di significato e si trova ad essere piuttosto pessimista nei confronti del mondo del lavoro orientato alla ricerca di impieghi legati alle passioni personali più che ad una alta remunerazione.

L’assenza di connettività (ormai difficile da registrare) si rivela un potentissimo elemento di disturbo per questi nativi, arrivando a generare vere e proprie crisi di astinenza, scatenando nervosismo e irrazionalità. Secondo a uno studio pubblicato da GWI, società di ricerche di mercato globali con un report basato su un campione globale di circa 205.000 persone di 47 paesi diversi, solo un ragazzo su tre parla delle sue difficoltà psicologiche in famiglia.

Ma i problemi di salute mentale continuano a crescere di anno in anno (+30% tra il 2018 e il 2021).  La maggior parte del tempo nel mondo virtuale viene speso tra i due colossi TikTok e Instagram, piattaforme sempre più utilizzate dai brand che desiderano incrociare questo target.

Dallo studio di ONIM del 2021 in collaborazione con the Foll su base dati globalwebindex si rileva che il processo di scoperta dei nuovi brand va dal passaparola ai consigli di celebrità, blogger esperti tenendo conto anche i siti di recensioni o comparazioni di prodotti. 

Questa nuova generazione ha appreso comunque dagli errori dei Millennials (1985-2005): è quindi molto attenta e selettiva, non posta a caso e non permette a tutti di accedere alle proprie comunicazioni.

In realtà, è un vero «editore» che deve programmare i contenuti da condividere, pianificare cosa, quando e quanto pubblicare, selezionando a chi permettere l’accesso. Attentissima dunque a cercare di presentare la migliore versione di sé stessa, lasciando il resto all’immaginazione del viewers».

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