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STRADINOI
09 Gennaio 2017 - 19:12
Gianni Gagliardi
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Ci sono ricordi che parlano, emozioni che a modo loro raccontano storie. Storie di esperienze, racconti di viaggi, simboli di una vita trascorsa, di persone che vengono e di persone che vanno. Non ci abituiamo mai all’assenza, al vuoto incolmabile di chi non c’è più. Ci rimangono storie, che ci accompagnano e raccontano di una vita marchiata dal rimpianto di non essersi preparati a ricevere la notizia più tragica, quella di una scomparsa. Questa è la storia di Gianni Gagliardi, 45 anni, cremonese per nascita, scomparso qualche giorno fa dopo l’aggravarsi della sua malattia. Una storia recente, scritta da lui, che sarebbe diventata un articolo, un grido contro la rassegnazione.
«Questa è la storia di un ragazzo felice pieno di energia e che si sentiva così forte da poter aiutare anche il prossimo. Nella mia vita ho superato tanti ostacoli che per molti erano invalicabili. Ero così forte che molte persone si chiedevano come potesse essere così e da dove prendessi questa forza. Mi sentivo invincibile, non avevo nessun ostacolo che mi avrebbe potuto sconfiggere, la paura non sapevo cosa fosse perché ero consapevole delle mie forze vincenti. Ma il buon Dio si è accorto di questo e come per tutte le sue opere troppo vicine alla perfezione doveva mettere un freno inserendomi il famoso tallone d’Achille. Non ci ha messo molto a trovarlo, bastava osservare cosa mi rendesse così vincente. Ogni ostacolo che affrontavo lo affrontavo senza paura e questo mi portava a non aver bisogno di nulla. Quindi che cosa ho fatto? Semplice! Ho fatto entrare nella mia vita una specie di cavallo di Troia, che non destasse allarmismi in me, e appena si è reso conto che mi ero affezionato così tanto da farlo entrare nella sua vita ha attivato il piano che mi ha fatto conoscere la paura e la sconfitta.
È stato il mio declino, spogliato della mia armatura questa sconfitta mi ha fatto trovare seduto nell’angolo di una "stanza" della mia vita al buio, senza finestre, ne porte. Era così buia che nessuno era certo se vi fossero pareti. Solo il silenzio.
Da quel giorno non sono più stato io, ho giurato a me stesso che non avrei dato l'opportunità di far entrare niente nella mia vita, ma ormai il danno che Dio mi aveva fatto era così grosso che purtroppo vi sono stati altri episodi, più o meno gravi, fino ad arrivare a toccare il livello più alto della sconfitta. Ora questo ragazzo, che poi sarei io, è tornato a sedersi ancora in quella stanza sempre più buia, sempre più ferito e senza più forze. Mi sono domandato più volte il motivo di questo accanimento nei miei confronti».
Gianni voleva che la sua storia prendesse il volo, fino a raggiungere più persone possibile. Lo avevo ascoltato, senza dire nulla. Gli ho fatto solo una domanda, chiedendogli se avesse in mente un insegnamento da trasmettere a quanti si trovano nelle sue stesse condizioni.
«Sì. Faccio fatica a respirare e a parlare, sto subendo molto. Ma voglio dire a tutti che anche quando si pensa di essere sconfitti si deve cercare uno spiraglio per guarire. Oggi ho conosciuto una persona, che mi ha detto: ‘Se mi trovassero mai delle metastasi, non mi farei nemmeno operare’. Questo è sbagliato. Ho cercato in tutti modi di persuaderla. “Si combatte e si vive”. È il mio motto. C’è sempre la possibilità di vincere, o di perdere. L’importante è provarci, e non arrendersi».
«Non arrendersi», neanche quando è l'assenza fisica a chiederlo. Perché quando le luci si spengono, dentro di noi rimangono pensieri, ricordi, storie che ci arricchiscono e che a modo loro provano a renderci più forti.
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