L'ANALISI
15 Febbraio 2023 - 05:25
CREMONA - «Quando parlo di lei mi emoziono perché non lo so da dove è venuta... Volevo scrivere un romanzo ambientato a Praga e ci sono andato per documentarmi, perché i luoghi sono personaggi, genius loci dai quali non si può prescindere. Sono arrivato in una città magica, sospesa nel tempo dei prodigi, di esseri fatati e di fiabe; la città di Kafka e del triangolo magico, del Golem, ricca di incredibili vibrazioni. Una sera mi aggiravo nei vicoli, d’improvviso calò una nebbia, il centro divenne un labirinto. Mi ero perso, giravo a vuoto. Poi, come in un film, d’improvviso ‘vidi’ sbucare una bambina vestita di bianco, incappucciata, con in mano un canestro di vimini: dentro sacchetti di tela azzurra, riempiti di sale. Non so da dove sia venuta, ma so che è diventata il centro focale del romanzo. Nella storia è l’unica bambina di Praga che, alla vigilia dell’invasione nazista, non vuole essere salvata. Il perché si scoprirà leggendo. Ed è quindi la bambina che tutti vogliono salvare. Lei è diventata, in maniera magica, il bambino universale».
È davvero commosso Fabiano Massimi quando rievoca la ‘nascita’ della bambina del sale, personaggio centrale del suo nuovo romanzo «Se esiste un perdono», in cui racconta l’epico sforzo di un piccolo gruppo di eroi che a Praga, tra il 1938 e il 1939, fecero espatriare centinaia di bambini. Ne parla con Paolo Gualandris nella videointervista per la rubrica Tre minuti un libro online da oggi sul sito www.laprovinciacr.it.
È la storia vera, purtroppo dimenticata quella di sir Nicolas Winton, lo Schindler britannico che mise in salvo 669 bambini, per la maggior parte ebrei, minacciati dall’avanzata del nazismo. Lo fece allestendo una serie di treni che da Praga portarono questi bambini in Inghilterra e poi nel Commonwealth, in America affidato dai loro genitori a nuove famiglie, nell’eroica rinuncia pur di dare loro una speranza di futuro. Un romanzo storico perfettamente ambientato e documentato, ma soprattutto una storia di cuore e amore. «Questa vicenda ha un tratto straordinario aggiuntivo: compiuta l’impresa, Winton e i suoi due sodali, Doreen Warriner e Trevor Chadwik, non ne parlarono, neppure con i loro famigliari, per oltre cinquant’anni».
Una storia che oggi Massimi ha deciso di raccontare perché «per me è stata un raggio di speranza. Marzo 2020, scatta il lockdown e mi rinchiudo nella casa di montagna con la famiglia. Fuori il buio dell’inverno e in casa ancora più buio: tutti davanti alla tivù ad ascoltare il bollettino dei morti. Ero disperato. Un amico mi ha mandato il video di una trasmissione della Bbc del 1988. In prima fila un signore molto in età, invitato senza che nessuno gli avesse spiegato il perché. La conduttrice mostra una lista dattiloscritta con migliaia di nomi di bambini praghesi, racconta del loro salvataggio e annuncia che quel ‘nonno’ era l’eroe che lo aveva fatto. Grandi applausi, lui sbalordito, ha le lacrime, le asciuga con le dita sotto gli occhiali. E già lì ti si spezza il cuore. La ‘Maria De Filippi all’inglese’ fa qualcosa che strizza il cuore appena spezzato: chiede se nel teatro c’è qualcuno che deve a quest’uomo la sua vita. Tutta la platea si alza, decine decine di uomini e donne ai capelli bianchi e con gli occhi umidi: i suoi bambini di cinquant’anni prima. Un raggio di luce e di speranza incredibile. In quei giorni di lockdown è stata questa storia a tenermi a galla».
Il filmato diventa virale, Winton grazie agli eventi ricordati, che sono anche l’asse di gravitazione del romanzo, diventa famoso e passa il resto della propria esistenza - lui che aveva ottant’anni quando viene riscoperto e che ne vive 106 -, a girare il mondo per conoscere i «suoi» bambini cresciuti, i loro figli e i loro nipoti. E a fare il testimone di questa grande impresa. Ma Dorian e Trevor sono completamente dimenticati, perché mancati molto prima, negli anni Settanta.
«Il romanzo è per loro, che possano vivere nel ricordo di questo grande amore». Oltre a raccontare l’eroismo e il sacrificio di quei momenti e il dolore delle famiglie che decidono di abbandonare i loro figli per dar loro un futuro, c’è un altro aspetto centrale nel romanzo: una delle protagoniste cambia completamente la propria prospettiva rispetto al mondo e a ciò che è giusto e sbagliato perché capisce da che parte è giusto stare.
«Mi serviva il punto di vista di una persona del luogo, di una cecoslovacca. In questo caso Petra, l’io narrante, che perde tutto il giorno in cui Hitler annette una parte di Cecoslovacchia occidentale che i Grandi gli avevano ‘regalato’ nella vana speranza di evitare la guerra mondiale. Suo marito muore in uno scontro di piazza tra nazionalisti e nazisti, lei perde bambino che porta in grembo per il dolore. Si sveglia il giorno dopo con un’unica cosa in testa: la vendetta. Poi arriva a lavorare con Nicolas e sarà una grande alleata di Trevor. E cambia. Nella ‘nuova’ Petra crescono la comprensione, la pietà e il senso del perdono. Da qui il titolo del romanzo», spiega Massimi.
Che punta il faro anche su una drammatica considerazione: si legge il libro, ci si commuove, ma poi si chiude il tomo e si volta pagina, come se fosse solo passato. Invece è il presente, è una contemporaneità altrettanto drammatica. «Quando ho iniziato a scrivere il libro era il Natale di due anni fa. Pochi la ricordano, ma c’era la crisi al confine tra Polonia e Bielorussia, con migliaia di migranti che cercavano di passare e il governo di Varsavia ha tenuto i confini chiusi. Migliaia di famiglie e migliaia di bambini sono rimasti al gelo. E poi l’Afghanistan ripreso dai talebani, da cui arrivavano reportage di ragazzini randagi, abbandonati a se stessi, affamati, sporchi, addolorati. Poco dopo è scoppiata la guerra in Ucraina e io rivedo le scene di bambini che da sopra un treno o un pullman salutano con la mano contro il vetro i genitori rimasti sul binario straziati, che cercano di sorridere perché li stanno mandando verso un futuro sapendo che probabilmente non li rivedranno mai più. Aveva ragione Eugenio Montale, la storia non è magistra proprio di niente».
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