Cerca

Eventi

Tutti gli appuntamenti

Eventi

CREMONA: PAROLE E NOTE. IL VIDEO

«Suono il contrabbasso per le mie mani grandi»

Ares Tavolazzi a ruota libera: dal papà che si esibiva nelle osterie a una carriera leggendaria

Luca Muchetti

Email:

redazioneweb@laprovinciacr.it

25 Ottobre 2025 - 18:41

CREMONA - Ricorda perfettamente gli odori di quegli strumenti, dei laboratori di liuteria e quei concerti improvvisati dal padre e dal suo quartetto in osteria a Ferrara.

Ares Tavolazzi, uno dei più grandi musicisti del rock, del pop e del jazz italiano (la militanza negli Area basta per raccontare un intero curriculum), ha parlato oggi con affetto visibile delle due chitarre appartenute al padre Eros e realizzate da Gaetano Pareschi, bisnonno di Antonella, la persona che da Casalmaggiore si è rimessa sulle tracce di quegli strumenti nel tentativo di approfondire la storia di famiglia.

Eros, molto amico di Gaetano, si fece costruire due strumenti: nel 1958 una chitarra elettrica, copia del modello Piretti, e nel 1963 una chitarra acustica. Nella sala Manfredini del Museo Civico, sul palco, le due chitarre facevano bella mostra di loro insieme a Tavolazzi e a Carmine Caletti, invitato a intervistare il musicista. «Erano tempi in cui si faceva musica nelle osterie. In modo particolare al Golden Tap di Ferrara, dove io cantavo e mio padre suonava con i suoi amici proprio una di queste due chitarre - ha raccontato a una platea numerosa -. Erano ciabattini, operai, persone molto semplici che in quartetto suonavano con mio padre».

Da Ferrara ai palchi di tutta Italia per una carriera travolgente e che incrocerà la strada di Mina, Paolo Conte, Francesco Guccini solo per citarne alcuni. «Sono sempre stato un lazzarone, ma alla fine tutto quello che ho studiato poi mi è servito - ha detto tornando agli anni della sua formazione -. Sono cose a cui oggi non penso più, ma se non ci passi non arrivano. Quando ho finito le scuole elementari mio padre mi chiese se volevo studiare musica. Al conservatorio inizialmente volevo suonare il piano ma non c’era posto, poi è spuntato l’oboe ma alla fine è stato il violoncello a vincere. L’insegnante però, notando le mie grandi mani, mi chiese perché non il contrabbasso. Passai al mio strumento definitivo (insieme al basso elettrico, ndr) in modo abbastanza casuale. Per quel poco che ho studiato, mi sono trovato un bagaglio che mi è servito per tutta la vita».

rerer

Con Ellade Bandini e Vince Tempera formò i Pleasure Machine, per poi trovarsi come turnista a registrare Radici con Francesco Guccini nel 1972. «Non so dirti - ha risposto a Caletti, parlando del sé di allora - chi fosse quel ragazzo di poco più di 20 anni. Le cose accadono perché accadono. Guccini cercava musicisti e tramite Vince Tempera arrivai a lui. Iniziammo a provare a Bologna. Avevo già un figlio e per me era già un lavoro. Guccini, Conte, Fabio Concato: suonando con loro ho imparato che è il momento che conta, è essere lì mentre lo stai facendo, non essere altrove. È la cosa più importante».

Ma oltre che filosofo dello strumento, Tavolazzi è anche una formidabile macchina di aneddoti: «La sala prove con Guccini? Tutto si svolgeva in un clima di grande amicizia, è vero ciò che si dice di lui. Francesco è un amico ed è molto rispettoso dei musicisti».

Mentre sull’ingresso nella formazione degli Area ricorda: «All’epoca suonavo ancora, a volte, in una orchestra da ballo. Un giorno, mentre siamo in viaggio per una data, sento sulla Rai Luglio, agosto, settembre (nero) e ne rimango colpito. Poco tempo dopo mi chiama Demetrio, che avevo conosciuto in balera qualche tempo prima. Quando Patrick Djivas andò con la PFM, gli Area iniziarono a provinare alcuni bassisti. A Parma si tenne il provino e così iniziai. Con gli Area stavamo in giro per mesi. Ogni tanto qualcuno mi chiede se ricordo quel concerto di quell’anno in quella città e io - davvero mi spiace tantissimo - devo rispondere di no! Nacque un culto degli Area ma come musica dal vivo, come happening… infatti iniziammo a vendere dischi dopo. Il nostro sostentamento erano i concerti».

Meno lineare fu l’esperienza con il Lucio Battisti di Anima Latina: «Premesso che non saprei scrivere mezza nota all’altezza di quello che Lucio Battisti ha scritto in tutta la sua vita - ha commentato ieri ridendo -, ricordo che dalle 9 del mattino Lucio era in regia e dava a me e al batterista in sala di registrazione continue indicazioni». L’indecisione e le continue richieste di Battisti innervosiscono il giovane Tavolazzi: «Insomma all’una mi licenziai, ma riuscii a finire il mio lavoro».

Tutta un’altra musica invece quella suonata per Paolo Conte: «Lui sa bene quello che vuole. Quando la canzone è finita è quasi completo anche l’arrangiamento. Con lui basta rispettare alcune cose, e farle bene».

A introdurre questo secondo appuntamento della rassegna Corde Antiche è stato Fausto Cacciatori, conservatore delle Stanze per la musica che ospitano la collezione di strumenti antichi di Carlo Alberto Carutti.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su La Provincia

Caratteri rimanenti: 400