L'ANALISI
25 Agosto 2023 - 05:30
CREMONA - «La sicurezza si fa, se si parla di sicurezza». E la sicurezza «parte dai banchi di scuola». Parte «dal bambino, al quale si dice che le forbici devono essere arrotondate, perché quelle appuntite ti possono far male. Ecco perché facciamo iniziative con il mondo della scuola. Vista la materia che noi gestiamo, in nostri interlocutori privilegiati sono gli istituti tecnici e professionali, perché da lì escono i nuovi lavoratori che possono diventare i nuovi imprenditori, i nuovi dirigenti, i nuovi preposti».
Anna Marinella Firmi è direttore del Servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro di Ats Val Padana: più di 34mila imprese da controllare nei territori di competenza, il Cremonese e il Mantovano. Un servizio che evoca multe e prescrizioni, «perché quando noi entriamo, non è mai una visita di cortesia». Ma non è così. Perché la mission, «il core business è la vigilanza. Noi abbiamo un mandato da un punto di vista epidemiologico e prevenzionistico».
E, allora, fondamentale è un lavoro di squadra, la collaborazione «con le imprese, i datori di lavoro, i lavoratori per fare una rete dal punto di vista del sistema impresa regionale. Noi siamo di supporto».
Il mondo del lavoro è cambiato. I rischi anche. «Quando ho cominciato io — spiega la manager di Ats Val Padana —, i rischi erano codificati, tabellati. Il rischio principale era il rumore, causa di ipoacusie. Adesso, il rumore è residuale. Oggi il mondo del lavoro è più specialistico e anche i rischi sono diversi. La parte del leone la fa il sovraccarico», ma «ci sono i rischi emergenziali, soprattutto in ambito chimico: un mondo di nanoparticelle, di nanostrutture. In questo momento, la parte più sfidante per noi è quella legata, come conseguenza, a implicazioni non solo sulla parte chimica, ma sull’aspetto cancerogeno. Ecco perché puntiamo tantissimo sulla formazione dei nostri operatori». E «la figura strategica per promuovere la sicurezza è il tecnico della formazione».
Nel settore agricolo, «il rischio prevalente una volta era legato al ribaltamento del trattore non dotato dei presidi di sicurezza». Ma sia dal punto di vista della sicurezza che della salute, i trattori non sono più quelli di una volta.
«A proposito delle ondate di caldo, la nostra Ats ha pubblicato il piano operativo per l’emergenza caldo dove ci sono linee guida molto interessanti sulla prevenzione e la gestione degli effetti da calore. Nel nostro territorio — sottolinea Firmi — non abbiamo mai registrato episodi riportati dai media (i braccianti uccisi dal caldo, ndr). A questo scopo, stiamo partecipando a un progetto regionale che sul comparto agricolo vede protagonista Ats Val Padana insieme all’Unità operativa ospedaliera della Medicina del lavoro e alle associazioni agricole proprio per garantire e mettere in atto la sorveglianza sanitaria degli stagionali e dei lavoratori a tempo determinato che sono impegnati per almeno 50 giorni all’anno; lavoratori che fanno operazioni semplici, non legate all’utilizzo di macchinari. È un aspetto considerato meno prioritario rispetto alla sicurezza». Perché «la sicurezza evoca subito dei rischi importanti. Il rischio calore o legato a posture incongrue o a sovraccarico biomeccanico (un lavoratore che sta tutto il giorno piegato a raccogliere pomodori e ortaggi) viene percepito meno cogente». Ma non lo è.
Comparto edilizia. «L’edilizia ha subito la crisi, è cambiata profondamente. Il periodo del Covid, a cui hanno fatto seguito gli emendamenti con il Superbonus, è stato un momento difficile, perché si sono improvvisate una serie di imprese che non avevano le caratteristiche per essere ritenute tali in senso letterario come attrezzature, come maestranze, come formazione e come approvvigionamento dei materiali. Non è stato un bene né da una parte per le imprese né molto spesso anche per i committenti: la norma prevede che anche il committente sia responsabile e sanzionato». Nell’ambito dell’edilizia, prosegue il direttore Firmi, «i tre rischi maggiori sono i prefabbricati, i lavori in altezza, in quota e gli scavi. Hanno gli esiti più pesanti e gli infortuni in questi ambiti possono avere esiti molto gravi».
Non è cambiato solo il mondo del lavoro, ma anche l’organizzazione. «Ce lo ha insegnato la pandemia: abbiamo dovuto organizzare il nostro modo di lavorare, organizzare gli spazi, le attività, il tempo. Quanti datori di lavoro hanno dovuto cambiare i turni, il layout. Quando la pandemia è partita, addirittura ci dicevano quante persone si dovevano mettere in una stanza. Penso a tutte i servizi del terziario».
Le imprese del nostro territorio «hanno dato segno di prendere atto del fatto che il mondo del lavoro è cambiato e che, alla fine, l’organizzazione fa la differenza. Per organizzazione intendo come gestire tutta la partita: lavoratori, organizzazione dei turni, fasi di lavoro, ma anche dimostrare una attenzione. Mi spiego. In ambito agricolo, ad esempio, si è persa quella parte storica dove c’era una tradizione che si tramandava. Adesso, ci sono fior di aziende molto belle, dove i figli o i parenti prossimi non sono più disponibili ad andare avanti».
Da qui, «il ricorso anche a manodopera di altre etnie. I datori di lavoro sono obbligati a tener conto dell’approccio linguistico, ma non basta solo l’alfabetizzazione di queste figure. A queste figure devi spesso garantire un alloggio, devi creare una continuità con la famiglia, con le loro tradizioni, con il loro ambiente. Sembra banale, ma non lo è. Il vero imprenditore strategico è quello che tiene conto di queste differenze e cerca di trarre da queste differenze spunti migliori. È difficile, ma una volta avviato, questo percorso dà risultati».
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