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CREMONA

Carcere, agenti penitenziari in protesta: «Non possiamo fare tutto noi, chiediamo rispetto»

Monta la levata di scudi dei sindacati della polizia penitenziaria contro la direzione di Cà del Ferro: Dap e Prap accusati di essere «assenti»

Francesca Morandi

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fmorandi@laprovinciacr.it

07 Novembre 2022 - 13:53

CREMONA - «A Cà del Ferro ci sono 450 detenuti, di cui una ventina sono psichiatrici e in carcere non ci possono state. Il 70.80% sono extracomunitari di difficile gestione. Gli agenti sono solo 180. Ce ne vorrebbero 50 in più. Non ci sono né educatori né medici. Dobbiamo fare noi i medici, gli psichiatri e gli educatori senza averne le competenze. Chiediamo più rispetto per la polizia penitenziaria, più sicurezza per la nostra incolumità, perché tutti i giorni ci sono aggressioni da parte dei detenuti. Il nostro lavoro merita rispetto e dignità. Lavorare in queste condizioni è indegno. Noi cerchiamo di tamponare, ma non siamo numeri». Invece, «tutti si rimpallano le responsabilità e in mezzo ci siamo noi che ci prendiamo tutti i giorni cazzotti e pugni, nessuno ci tutela».

Oggi davanti al carcere, domani davanti alla Prefettura. Monta la protesta dei sindacati della polizia penitenziaria contro la direzione di Cà del Ferro, soprattutto contro il Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) e il Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap), entrambi accusati di essere «assenti». Fischietti, slogan come ‘Giù le mani dalla penitenziaria’, ‘Lavoro uguale sicurezza’, ‘Provveditore dove sei, vogliamo i vertici!’ e striscioni. Davanti al carcere i rappresentanti delle sigle sindacali Sappe, Sinappe, Osapp, Uilpa, Uspp e Cisl lanciano un grido di aiuto, confidando che Roma trovi soluzioni: «Meloni, Nordio siamo nelle vostre mani».

Antonio Loffredo e Giorgio De Giuseppe, segretario provinciale del Sappe (il maggior sindacato con il 32% rispetto alle altre sigle) spiegano i motivi della protesta degli agenti che già da dieci giorni non vanno in mensa. «Lamentiamo i disagi che ci sono all’interno degli istituti penitenziari di tutta Italia, in particolar modo di quello di Cremona dove abbiamo la maggior parte delle criticità». De Giuseppe le mette in fila. A cominciare dai «detenuti psichiatrici, soggetti che non sono idonei a stare in un istituto penitenziario, ma dovrebbero avere le cure sanitarie, dovrebbero essere aiutati e coadiuvati dal personale sanitario. Ci dovrebbero essere gli educatori. Siamo noi a fare da educatori, da psicologi e da medici senza averne le competenze. Sono detenuti problematici che vengono portati qua da altre carceri della Regione Lombardia», incalza Loffredo. Cà del Ferro diventa «un imbuto». «Dei 450 detenuti, il 70-80% sono extracomunitari di poca gestione. Il Prap ha detto che non è di competenza sua e che dobbiamo risolverla a livello locale. In merito alle aggressioni che ormai sono diventate quotidiane, la direzione ha risposto che siamo nella media nazionale, forse un po’ sotto. È una risposta assurda. Un direttore di istituto deve azzerare le aggressioni».

L’altra criticità è la carenza di personale insieme all’altra dei carichi di lavoro che si fanno sempre più pesanti. «Non c’è personale per coprire i turni. E si spera che nella notte non si abbiano de problemi, altrimenti si va in affanno. Chiediamo aiuto alla direzione, al Dipartimento, al Provveditorato, al Governo. Chiediamo maggior personale», ma anche di mettere mano alla struttura. «Chiediamo di aprire un isolamento per gli psichiatrici. Non solo. Il piano di sopra della caserma è da anni che è inagibile, la direzione non se ne fa capo. Il provveditore della Regione Lombardia Pietro Buffa non ci ha risposto. Già siamo molto in ritardo nella contrattazione del Protocollo d’intesa locale. Tutto va a rilento. E, alla fine, chi ne paga le conseguenze siamo sempre noi».

Vincenzo Martucci è vice segretario regionale del Sinappe. «Non c’è solo la carenza di personale della polizia penitenziaria - spiega -, ma di tutti ruoli a partire dall’area trattamentale. Non esiste il trattamento senza educatori. A Cremona ne sono previsti 5, attualmente sono tre, di cui una è capo area. A fronte di 450 detenuti, è impossibile assicurare loro il trattamento. L’altro nodo cruciale è la mancanza di sanitari a fronte di una popolazione di detenuti sempre più caratterizzata da problemi psichiatrici e non solo. Ci sono detenuti farmacofilici e antisociali. Qui abbiamo bisogno di altre figure. Attualmente, nel carcere di Cremonac’è solo il personale di polizia penitenziaria. Non entra più nessuno. Altri operatori, se entrano, vi stanno pochi minuti per tamponare le situazioni d’emergenza. Non si riesce più ad assicurare l’ordinario nel totale silenzio degli uffici superiori sia del Dap che del Prap. Le colpe non vanno date solo alla direzione di Cremona, perché la direzione riesce a lavorare con le risorse che ha».

Il problema è, dunque, «a monte» con Cà del Ferro che è diventato «un serbatoio di detenuti non solo del distretto lombardo, ma del resto d’Italia. Ne abbiamo pochissimi che arrivano dal territorio, la gran parte viene da fuori senza alcun sostentamento economico in quanto per la la maggior parte sono extracomunitari, per lo più di origine magrebina. Siamo rimasti solo, il nostro è un grido di aiuto, perché non ce la facciamo più. A questo si aggiungono le aggressioni al personale di polizia penitenziaria che sono all’ordine del giorno. Ti rispondono che a livello nazionale la situazione è uguale. Non è una risposta. Io sono un lavoratore, devo lavorare in sicurezza. Lo Stato ha perso tempo dopo la rivolta dell’8 marzo del 2020, poi c’è stata la pandemia. Lo Stato doveva riorganizzare la polizia penitenziaria. E ad oggi siamo messo peggio di prima, siamo con le pezze al...».


Daniele Sciaudone è segretario provinciale Unione sindacati polizia penitenziaria (Uspp). «È la nostra seconda manifestazione – spiega -. Già nel 2020, dopo le rivolte dell’8 marzo siamo scesi in piazza per avere delle garanzie sulla nostra sicurezza e incolumità. Purtroppo, l’istituto cremonese sembra essere sordo, Oggi siamo ancora qui. Sentirsi dire che ci troviamo in una statistica nazionale, significa essere considerati come numeri. Noi siamo delle risorse, siamo uomini dello Stato, portiamo la legalità all’interno delle carceri ed essere paragonati dei numeri è denigrante. Dare man forte ai colleghi giovani appena arruolati, dare loro uno stimolo diventa poi difficile».

Davanti al carcere ci sono Rino Raguso e Stefano Bello, segretario nazionale e provinciale dell’Osappe. «La manifestazione rappresenta la summa di una serie di disfunzioni, di disagi che vive la polizia penitenziaria – evidenzia Raguso -. La carenza di personale, certo, ma soprattutto la noncuranza dei vertici regionali e nazionali che dovrebbero farsi carico del lavoro e delle condizioni di lavoro degli agenti, perché il nostro lavoro merita rispetto e dignità. Lavorare in queste condizioni è indegno».

«È una manifestazione pacifica, ma non ci fermeremo qui – prosegue Bello -. Andremo al Prap a Milano per chiedere non solo motivazioni, ma, soprattutto, garanzia della sicurezza, perché noi vogliamo lavorare in sicurezza. Noi non vogliamo non vogliamo non lavorare, anzi, lo facciamo tutti i giorni e ci crediamo nel nostro lavoro». Raguso ricorda che nel corpo della polizia penitenziaria «il tasso di suicidi è più elevato delle forze dell’ordine e 8 volte più elevato rispetto al cittadino normale. Ti dicono che i problemi sono riconducibili alla vita privata, ma se uno dedica un terzo della sua giornata lavorativa in carcere, probabilmente questo riflesso c’è, per lo meno di concausa».

«Dentro è invivibile», sbotta Michele Aufiero, rappresentante della Cisl. «È invivibile anche per la sicurezza stessa dei detenuti che rischiano. Noi gestiamo persone malate. Figure esperte non ci sono, noi dobbiamo fare di tutto e per di più dobbiamo gestire situazioni che sono pericolosissime. Non se ne può più. Un collega di 22 anni, che potrebbe essere mio figlio, è scappato via». Domani la protesta si sposterà davanti alla Prefettura. «Speriamo che l’istituzione governativa possa fare da eco e da tramite agli uffici superiori».

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