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Franca Cavagnoli, con la sera arrivano i ricordi

La scrittrice cremonese racconta ‘sottovoce’ il grande dolore e il percorso salvifico di una bambina che perde la madre a dieci anni

Paolo Gualandris

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pgualandris@laprovinciacr.it

29 Marzo 2023 - 05:15

CREMONA - «Il romanzo è germinato dal dolore patito quando è morta mia madre, dalle emozioni alle quali sono tornata continuamente in quei mesi al pensiero che lei aveva perso la sua di madre a dieci anni. Ho cercato di immaginarmi come abbia potuto fare a sopravvivere». Perché, come scrive: «Era quando il sole scendeva, e la terra diventava ancora più rossa, e le ombre si facevano lunghe, e la luce diventava magica, che i ricordi arrivavano. Anche quelli brutti». Franca Cavagnoli, cremonese di Crotta d’Adda trapiantata a Milano, parte da qui per scrivere il romanzo ‘Nel rumore del fiume’, in cui con una prosa delicata e sensibile, riesce a rendere il dolore della protagonista, Beatrice, a entrarne nei pensieri durante il suo percorso di resilienza al primo, gigantesco, dolore che la vita le ha messo davanti. Ne parla con Paolo Gualandris con la videointervista per la rubrica ‘Tre minuti un libro’ online da oggi sul sito www.laprovinciacr.it.

Cavaganoli ha un rapporto molto assiduo con la parola detta e scritta, è traduttrice di ben tre premi Nobel - J.M. Coetzee, Toni Morrison e V.S. Naipaul - e insegna traduzione letteraria alla Statale di Milano e all’Istituto superiore interpreti e traduttori, nonché traduzione postcoloniale all’università di Pisa. All’attivo ha due romanzi. «Questo terzo - spiega-, nasce da un travaglio di lutto, termine che che io preferisco rispetto all’espressione elaborazione del lutto che usiamo comunemente e che trovo troppo astratta. Quando perdiamo qualcuno che ci è molto caro il termine giusto è travaglio perché quando accade è un lavoro dentro di noi, una fatica che dobbiamo fare. E quello che attraversa Beatrice è la perdita della madre alla quale era legatissima e riesce ad attraversare questo lungo periodo di grande dolore completamente da sola, aiutata da una grande capacità immaginativa, visionaria. È la fantasia che la porta verso un altrove e verso un percorso di uscita dal dolore».

Un percorso che si svolge in due situazioni fisiche agli opposti in Italia, inizia al Nord, tra le nebbie di Crotta d’Adda, e si conclude al Sud con il mare, il fulgore del sole. La natura è importantissima nel cammino di Beatrice. «È così perché lo è nella mia vita - sorride Cavagnoli -, e lo è stata molto in quella di mia madre. Dopo il lutto, l’avevano mandata via dal piccolo paese sull’Adda. Spedita sul lago di Lecco. Il fatto di essere in un paesaggio così diverso da quello che lei conosceva l’aveva aiutata molto. Io ho voluto spostare l’esperienza al sud perché ha un paesaggio che sento molto vicino alla mia possibilità di scrivere: lo faccio meglio se sono la».

Nel romanzo la natura aiuta Beatrice perché nel momento in cui lei è ancora lungo l’Adda, che lei associa all’Ade, quindi a qualcosa di profondamente pauroso, vede cose che non ci sono, teste mostruose e draghi tra le travi della stanza da letto quando viene il buio. E si spaventa molto. «Invece quello che impara a fare al sud è trasfigurare la realtà, dando libero sfogo alle sue fantasie e alla sua immaginazione per lei lenitiva in un primo momento, poi balsamica e infine effettivamente salvifica». Mina, la donna che in qualche modo la adotta le porta la capacità di guardare il mondo con minori angosce.

«Sì, perché la vita di Beatrice nel piccolo paese sull’Adda era stata piuttosto dura. Ha la madre con cui ha un rapporto di grande tenerezza, di grande amore e da cui si sente capita, però i maschi della famiglia, i fratelli e il padre, sono troppo introversi e non riescono a pensare che una bambina possa soffrire così tanto dopo il lutto. La nonna, infine, è troppo presa a quel punto a fare le veci della madre per potersi occupare più di tanto di lei». Mina, laggiù al sud, è invece una vedova che non ha avuto figli e per Beatrice ha il ruolo della nutrice: «E la nutre veramente, le consiglia che passeggiate fare, le mostra tutto quello che in quel momento è fondamentale per la bambina, che perde la madre ma trova di fatto un’altra figura materna».

C’è un aspetto molto particolare di questo libro che forse riguarda la parte più intima dell’autrice, cioè il rapporto che Beatrice ha con le parole: quando ne trova di complesse le assapora, le ama, se le gode, cerca di capire dove portano. Invece con le parole dette è molto parca. Una ‘scrittura sottovoce’ quella di Cavagnoli, che si abbina perfettamente al carattere della bambina. «Il fatto dell’amare la parola viene da me come lettrice. Ho tre scaffali in cui conservo i libri della mia infanzia e quando li riapro vedo le parole sottolineate, alcune con un circolino intorno. Un atteggiamento che poi io sposto su Beatrice e mi viene da sorridere quando certifico che il mio destino è stato tracciato molto presto nel rapporto con le parole e dalla lettura fatta con mia madre». E qui c’è un altro transfer: prima è la madre che legge a lei poi è lei che legge alla madre quando sta male. Come l’autrice, anche Beatrice copia sui quaderni poi rilegge, declamando ad alta voce quelle ‘belle’ parole: «Il loro suono mi ha sempre molto affascinato».

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