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Tante famiglie bussano alla S. Vincenzo

Sono 60 i nuclei (200 persone) seguiti. «L’emergenza sta diventando cronica»

Andrea Niccolò Arco

Email:

andreaarco23@gmail.com

20 Dicembre 2025 - 05:27

Tante famiglie bussano alla S. Vincenzo

SORESINA - La nuova sede è dietro il Teatro Sociale, in via Aldo Moro. Più calda, più funzionale, meno improvvisata. Ma i problemi che entrano ed escono dalla porta della San Vincenzo restano gli stessi. Anzi, aumentano. «Qui stiamo meglio, ma le emergenze non diminuiscono», dicono i volontari, mentre scorrono numeri, scatoloni e storie che difficilmente finiscono nelle statistiche.

Oggi gli assistiti medi sono circa 200 persone, con un bacino che oscilla ma si assesta lì. Le famiglie seguite sono una sessantina: due terzi di origine straniera, il resto italiani. «Gli italiani, spesso, sono persone sole. Non famiglie», spiegano. Ci sono cattolici, ortodossi, pochissimi musulmani. Il bisogno, qui, non ha una religione precisa.

Il cibo è il primo fronte. Olio, per esempio: «Tutti chiedono l'olio d'oliva, ma quello non ce lo fornisce il Banco alimentare». Riso e formaggio sono richiesti costanti. Carne e affettati non ci sono quasi mai: costano troppo e sono difficili da conservare. L'ortofrutta è una sfida continua. «Arrivano due o tre cassette, ma parte talvolta va buttata: è deperibile. Facciamo controlli severi sulla qualità, non diamo mai nulla di scaduto o di non sicuro». Esistono tabelle ministeriali che regolano tutto: il pane, per esempio, ha una durata massima di una settimana, l'olio arriva a un anno oltre la data ma, come si diceva, costa come il platino ormai. «Il problema è che pochi conoscono queste differenze. C'è il pregiudizio degli ‘scarti’», raccontano. Da qui nasce anche un lavoro educativo, quasi quotidiano. «Una mozzarella o uno yogurt si possono mettere in frigo o in freezer se sai scongelarli con tecniche sicure. Perdono fragranza, ma si mangiano. Manca educazione alimentare: vicino alla scadenza non vuol dire immangiabile. Anzi, il riuso è la nuova frontiera della cucina peraltro».

L'accesso non è automatico. I servizi sociali indirizzano qui con una relazione, serve l'Isee, c'è un confronto costante con il Comune e con le altre realtà. Da due anni esiste il Tavolo della carità: San Vincenzo, parrocchia, centro di ascolto, associazioni. «Ci scambiamo informazioni, progettiamo insieme. Non è infallibile, si può sbagliare, ma si prova a fare rete».

Il vero problema, però, resta chi non arriva. «Non riusciamo a intercettare chi si vergogna». Persone che hanno vissuto dignitosamente, perso il lavoro e si sentono umiliate. Anziani, vedove con reversibilità minime, coppie italiane che si sono trasferite qui. «Non emergono. Ed è lì che perdiamo qualcuno. E non dovremmo».

I volontari iscritti sono 14, gli operativi 8. Servirebbero forze nuove, giovani. «L'universitario che ha un pomeriggio libero sarebbe oro». Ma non è per tutti: riservatezza, sensibilità, ascolto. «Le donne parlano soprattutto con le donne. Sono casi delicati».

La nuova sede che è sempre della Fondazione, attiva da aprile dopo l'inizio del cantiere al palazzo Zucchi Falcina, ha migliorato tutto: magazzino, uffici, operatività. Certo, ci fosse il porticato. Domenica la San Vincenzo sarà in piazza Garibaldi con un mercatino natalizio, insieme a Pro loco e commercianti. Oggetti fatti a mano, anche da consorelle non operative. Raccolta fondi per sostenere un anno intero di attività.

Qui i numeri contano. Ma contano di più quelli che non si vedono.

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