L'ANALISI
26 Gennaio 2025 - 08:17
Nel riquadro Emiliano con papà Giancarlo Magni
GRONTARDO - Lo sapeva già. Sapeva già tutto, prima che un carabiniere gli comunicasse la notizia. Quasi un anno dopo il dolore si è preso quel che rimane della sua vita. Giancarlo Magni, papà di Emiliano, morto nell’incidente di Casalmorano, centrato da un’auto che arrivava in direzione opposta alla sua mentre viaggiava in moto, racconta la sua sofferenza, la sua casa vuota, la stanza che non apre mai. Ed è terribile come il freddo della sciagura entri e geli tutto, fermi le vite, sospenda ogni sentimento, testimone di una nebbia che non va mai via. Lui lo sapeva, poco dopo le 16 di quel mercoledì, quando il telefono di Emi, di colpo, è risultato spento. Le parole gli escono a fatica, come i pensieri, che dedica a suo figlio e a tutti quei genitori che hanno vissuto e vivono un dolore troppo grande, simile al suo.
«Ogni secondo me lo vedo davanti agli occhi, non riesco e non posso dire altro. La mia sofferenza è tutta qui, il resto non conta».
Cosa resta di questo anno?
«Il mio sorriso si era già spento, nel 2002, quando la Gigliola, mia moglie, è morta a causa di una malattia. Emiliano aveva 10 anni, andava in quinta elementare».
Una vita dura.
«Io facevo l’autista sui camion, ci ha aiutato la nonna Maria, mamma di Gigliola. Quando è morto Emi, lei non ce l’ha più fatta, un mese dopo lo ha raggiunto. È stata una ulteriore grave perdita anche per me. Partivo la mattina presto, tornavo alle tre del pomeriggio. Portavo Emi a calcio, alla Cremonese. Ha avuto diversi allenatori come ad esempio Bonomi, Bonali. Ricordo anche un piccolo aneddoto: Emi giocava nella Sported, era un bambino. Durante un allenamento, arriva un osservatore della Cremonese, Mario Montorfano: era venuto apposta per lui, l’ho saputo dopo. Si era fermato cinque minuti. Lo aveva visto e aveva capito tutto il suo potenziale».
E oggi? Come si affronta la vita giorno dopo giorno?
«Da quando sono in pensione sono successe tante cose. Come si fa ad affrontare la vita? È una bella domanda, ma la risposta non è facile, probabilmente non c’è, almeno per me. Tutte le persone che incontro mi dicono la stessa cosa: forza, tu sei una roccia. Forse sono una roccia di fuori, ma di dentro no, sono a terra completamente, muoio. È dura ammetterlo, ma questa è l’unica verità».
In paese c’è un club dedicato a Emiliano.
«A Grontardo è nato il club grigiorosso che porta il suo nome. Mi aiuta molto la vicinanza di questi ragazzi. Li chiamo ragazzi, perché più o meno hanno l’età di mio figlio. Emi è stato ricordato anche allo stadio Zini, la storia della sua tragedia è arrivata anche a Lodi e a Parma. Anche se questo non è che mi consoli o possa bastare, è normale credo».
Quando pensa all’incidente, che cosa le viene in mente?
«Il papà della ragazza che guidava la macchina è venuto a salutarmi, abbiamo pianto insieme, mi ha parlato del dispiacere che provava lui e anche sua figlia. Non ci siamo più visti nè sentiti, credo sia giusto così, non saprei. Non so neanche cosa provo, la rabbia non serve a niente, sono stato alcune volte sul posto, i carabinieri che hanno portato avanti le indagini hanno ricostruito la dinamica per quel che hanno potuto».
Un destino durissimo.
«La ragazza era uscita alle 16.02 dal lavoro, quattro minuti dopo era lì, a quel drammatico appuntamento. Il resto appartiene a storie di perizie e assicurazioni, la vita di mio figlio viene parametrata in base ai valori di tabelle e schemi che si traducono in cifre più o meno inutili, perché non ti possono restituire o compensare di nulla, sappiamo tutti come vanno queste cose».
È stato anche il primo Natale senza Emiliano.
«Natale è passato da un mese, è stata dura, ma come del resto lo sono tutti gli altri giorni, tutte le ore della giornata, ogni giorno vado al cimitero, è un appuntamento fisso. Prima ci andavo per mia moglie, ora ci vado anche per mio figlio, tutto quel che rimane della mia vita è li. Ho una compagna che mi aiuta e mi ha sostenuto molto, le devo tanto, la ringrazio per tutta la pazienza e per il suo appoggio».
Tanti le sono sempre vicini.
«La solidarietà del paese non è mai venuta meno. Il club si è speso molto per Emi, iniziative e donazioni danno un senso all’attività, dall’incontro in oratorio al torneo di Casalsigone fino a quello di Fiesse, la Juvi Ferraroni, la Cremonese, i tifosi allo stadio Zini con quello striscione molto bello dedicato proprio ad Emiliano, il murales di Stefano Delvò a Scandolara Ripa d’Oglio che in questo momento si trova in oratorio, a Grontardo. Sono stati tutti momenti particolari, insieme a tanti altri, attraverso i quali sono state aiutate anche diverse associazioni e questo mi fa molto piacere, ringrazio tutti i ragazzi che hanno avuto questa bella idea e che portano avanti il club, nel nome di mio figlio. Ho visto gente che neanche conoscevo che è venuta a salutarmi, probabilmente molti conoscevano Emi: lui sarebbe orgoglioso di tanto affetto».
Che cosa fa quando arriva ed entra a casa?
«Appena entro in casa è sempre un colpo al cuore. Non so come fare a spiegarmi. Vedo davanti agli occhi Emiliano col suo tapirulan, poi mi sembra di rivedere che arriva sua nonna e che prepara la cena, tanti ricordi, tanti momenti belli svaniti in un attimo. Nella sua stanza è rimasto tutto com’era, ma io non ce la faccio, non entro quasi mai. Molti mi consigliano di andare via, di cambiare casa, perché restare qui significa ogni volta riaprire la ferita».
Lo farà? Andrà via?
«Qui c’è la mia vita, la mia famiglia, i miei pensieri, anche il mio dolore. Questa è casa mia, oggi è vuota, ma è pur sempre la mia vita, la famiglia che ho avuto e da qui non andrei mai via».
Copyright La Provincia di Cremona © 2012 Tutti i diritti riservati
P.Iva 00111740197 - via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona
Testata registrata presso il Tribunale di Cremona n. 469 - 23/02/2012
Server Provider: OVH s.r.l. Capo redattore responsabile: Paolo Gualandris