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31 gennaio 1990

Cesare Casella torna libero

Si conclude felicemente uno dei più lunghi sequestri di persona avvenuti in Italia

Annalisa Araldi

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aaraldi@publia.it

31 Gennaio 2021 - 07:00

Cesare Casella torna libero

REGGIO CALABRIA — Cesare Casella è libero. Ad oltre due anni dalla sera del sequestro il ragazzo pavese è tornato in libertà. Secondo una prima versione, poco dopo le 22, dopo essere stato lasciato dai suoi rapitori in una zona di aperta campagna, il ragazzo sarebbe riuscito a raggiungere l'abitato di Natile di Careri, pochi chilometri da San Luca. Ha bussato alla prima abitazione che gli è venuta davanti: alla donna che gli ha aperto la porta ha detto semplicemente: «Sono Cesare Casella, vi prego avvertite i miei genitori». Secondo una successiva versione, la liberazione sarebbe stata casuale: durante un rastrellamento in quella zona dell'Aspromonte, una pattuglia avrebbe trovato il giovane Casella incatenato a un albero, solo, forse addirittura lasciato lì perché venisse trovato.

Di certo è che poco dopo sono giunti i carabinieri che, a bordo di una camionetta, lo hanno condotto nella sede della locale caserma dell'arma dove, nel giro di appena venti minuti, sono giunti alti ufficiali dei carabinieri e della polizia e del nucleo antisequestri. Le condizioni del ragazzo, secondo le prime notizie, sono discrete anche se appare provatissimo dalla lunga prigionia.

Uno dei più lunghi sequestri di persona mai avvenuti in Italia inizia la sera del 18 gennaio del 1988 a Pavia. Cesare Casella, 18 anni, figlio di Luigi, concessionario della «Citroen» della città lombarda, viene rapito alle 20,15 davanti al cancello della sua abitazione in via Vigentina, alla periferia di Pavia. Da quella sera di gennaio dell'88 comincia il lungo calvario della famiglia Casella. Passano mesi prima che i rapitori facciano pervenire il primo, serio messaggio con la richiesta di riscatto: un miliardo di lire è quanto chiedono i rapitori per rimettere in libertà il ragazzo. Luigi Casella parte da Pavia in direzione Locri nel periodo di Ferragosto e nelle montagne sopra Platì, proprio il 15 agosto 1988, paga il miliardo chiesto dai rapitori del figlio. A quel punto la liberazione di Cesare sembra imminente. Per riavere nuovamente un contatto coni rapitori bisogna attendere ancora. Solo nei primi mesi del 1989 viene avanzata la seconda richiesta: un'altra rata di cinque miliardi di lire per riavere Cesare libero. Ma quei soldi i Casella non li hanno. Il 16 giugno il padre di Cesare, Luigi, rende pubblica una foto del figlio, inviatagli dai rapitori il 25 marzo, nella quale Cesare è ritratto con una copia della «Gazzetta del Sud»: ha una folta barba, baffi lunghi e spioventi, capelli lunghi. Sempre a metà del mese di giugno Angela Casella intraprende un secondo viaggio, che durerà dieci giorni, nei paesi della Locride. A settembre arriva alla famiglia Casella un ritaglio della «Gazzetta del Sud» del 3 settembre, con due firme autografe di Cesare. Ma la vicenda è tutt' altro che conclusa. Passa inutilmente, infatti, oltre un mese: e la notte della vigilia di Natale nelle montagne vicino Careri, in pieno Aspromonte, i carabinieri, dei Gis che si spacciano per emissari della famiglia Casella catturano il presunto capo della banda che tiene sequestrato Cesare, Giuseppe Srrangio, di 35 anni, il quale viene leggermente ferito nel corso di un conflitto a fuoco con i militari dell'arma. Strangio rivolge anche un appello agli altri componenti della banda in cui chiede di non fare del male all'ostaggio. Altri due complici di Strangio riescono a fuggire. Per 48 ore viene anche proclamata una sorta di «tregua» per consentire ai rapitori il rilascio dell'ostaggio. Ma non succede niente. Il 1989 finisce con Cesare ancora nelle mani dell'anonima di San Luca. Il 2 gennaio Luigi Casella lancia da Pavia, con una telefonata all'Ansa, la richiesta del «silenzio stampa». Il 3 gennaio una clamorosa svolta: ad un giornalista pubblicista di Bovalino, Antonio Delfino, arriva un plico contenente una foto di Cesare con in mano il «Corriere dello sport» del 31 dicembre (in grande evidenza il titolo sul «dramma di Manfredonia»), e tre lettere. Una, in particolare, scritta in stampatello, con la firma Cesare Casella, è indirizzata a Luigi Casella: lo studente di Pavia fa appello al padre affinché si paghi il riscatto altrimenti — dice — i rapitori lo uccideranno.

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