L'ANALISI
22 Dicembre 2020 - 07:00
Oscuri i motivi della rivolta
ADDIS ABEBA, 21. — Il fallito colpo di Stato di Addis Abeba non sarà seguito da strascichi di vendetta: la repressione violenta e immediata che ha stroncato nel sangue la rivolta ha dimostrato che il Negus è ancora il più forte, che è ancora il Capo riconosciuto del suo Paese. E di questo Ailé Selassié è pago: e lo ha lasciato chiaramente intendere nel corso della conferenza stampa tenuta a Palazzo Reale per illustrare ai giornalisti di tutto il mondo la situazione. Il Negus, minimizzando le proporzioni del colpo di Stato ha tenuto a sottolineare che i colpevoli sono già stati puniti e che non c'è piccola parte del territorio nazionale nella quale non sia tornata la più completa normalità.
Il Negus von ha fatto cenno ai processi che certamente seguiranno la cattura di molti ribelli, ma a quanto pare la maggior parte dei capi della sommossa sono caduti in combattimento o sono stati uccisi dalle truppe regolari dopo la cattura e quindi i rivoltosi caduti vivi nelle mani dei governativi non sono molti. Tra questi ci sono certamente alcuni alti ufficiali della guardia che non fecero in tempo ad abbandonare il Palazzo Reale dopo averlo occupato: così vennero presi dalle truppe fedeli al Negus e fatti prigionieri. In ogni caso, però, sembra che il Negus non intenda infierire sui rivoltosi e questo del resto risponde al carattere e alla mentalità del sovrano etiopico che, sempre durante il suo regno, ha cercato di non ricorrere alla violenza.
Di lui si narra un episodio molto significativo che risale ai tempi della fine della guerra, quando l'Italia, sconfitta, dovette abbandonare anche l'Abissinia: le truppe di Ras Cassa catturarono un gruppo di italiani tra i quali molti ufficiali e avevano già deciso di passarli per le armi quando sul posto giunse Ailé Selassié che, avuto sentore dell'intenzione delle sue truppe, diede ordine che tutti i prigionieri venissero fotografati e le foto a lui consegnate. «Desidero — disse — vedere tutti questi prigionieri sani e salvi ad Addis Abeba: ne risponderà con la testa Ras Cassa». E del resto fu proprio il Negus a rivolgere alla popolazione un proclama il giorno del suo ritorno ad Addis Abeba per invitare tutti alla calma e per invitarli ad evitare ogni inutile spargimento di sangue.
Ancor oggi in Etiopia grazie a questo atteggiamento di Ailé Selassié i diecimila italiani che vivono laggiù non hanno ragione di lamentarsi del trattamento loro riservato, come gli abissini non hanno motivo di lagnarsi, anzi, della presenza laboriosa e produttiva degli italiani.
Fino a ieri l'autorità di Ailé Selessié, dal lontano 1933, quando era stato incoronato «re dei re», non era mai stata messa in pericolo: ma il fallito colpo di Stato ha aperto una falla nell'enorme prestigio del Negus. Se il suo grande ascendente ha fatto sì che la sola notizia del suo ritorno bastasse a galvanizzare le truppe e far traballare i partigiani della rivolta, ciò noti significa che anche in Etiopia— come in tutta l'Africa del resto — non si sia avvertita l'influenza di sobillatori esterni. Secondo indiscrezioni raccolte negli ambienti vicini a Palazzo Reale, la prima preoccupazione del Negus — subito dopo il suo ritorno a Addis Abeba — è stata quella di indagare sui veri motivi della rivolta e di scoprire se si è trattato soltanto di una congiura di palazzo o se dietro il fallito colpo di Stato si nasconde la sobillazione di influenze comuniste.
Dopo quello che è accaduto nei giorni scorsi è difficile pensare che pressioni esterne possano allo stato attuale delle cose mettere in pericolo l'autorità indiscussa di Ailé Selassié: e a suffragare questa convinzione sta l'episodio del «sosia»: secondo una versione ufficiosa, infatti, quando le autorità fedeli al Negus si accorsero che i ribelli stavano guadagnando terreno pensarono che il mezzo migliore per risolvere a loro vantaggio la battaglia era quello di spargere la voce che il Negus era tornato ed era alla testa delle sue truppe. E così fecero, facendo diffondere da decine di altoparlanti la notizia e inviando, in testa alle truppe, il «sosia» del Negus, in altre parole la controfigura che Ailé Selassié ha per ogni evenienza. Il solo fatto che il Negus capeggiasse la repressione — o meglio la sua controfigura — ha fatto sì che interi reparti di rivoltosi cedessero le armi e la stessa popolazione insorgesse contro i ribelli.
Questo episodio, come si è detto, vale da solo a testimoniare la grande forza morale del Negus sul suo popolo: ed Ailé Selassié non ha bisogno di cercare la vendetta. Secondo alcuni osservatori la generosità di Ailé Selassié viene interpretata come foriera di un nuovo orientamento politico, ma a Palazzo Reale non si crede a questa ipotesi: si è più inclini a pensare che, come sempre, il Negus ascolterà i suggerimenti e i consigli dei maggiorenti per migliorare la situazione del Paese e per evitare che il malcontento serpeggi nella popolazione.
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