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IL COMMENTO AL VANGELO

Occorrono occhi senza pregiudizio

La paradossale coerenza dell'amore cristologico: una riflessione sulla libertà e la giustizia nel nome di Gesù

Don Paolo Arienti

29 Settembre 2024 - 05:20

Occorrono occhi senza pregiudizio

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».
Mc 9,38-43.45.47-48

I brani appena precedenti a quello odierno raccontavano di una crisi profondissima che stava allontanando Gesù dai suoi discepoli: non una, pur comprensibile, opposizione esterna, come spesso accade anche in altri Vangeli, ma un blocco, una incomprensione attorno alla quale Marco fa come girare tutto il suo scritto. Perché occorre modificare radicalmente certe idee, riscrivere quanto è ancestrale, adattarsi con grande sconcerto ad una rivelazione che nulla ha a che fare con il naturale: Gesù deve morire e la potenza di Dio passare attraverso la croce e la risurrezione.

Questo amore, sostiene Marco tra le righe, o sarà un amore pasquale, fatto di passaggi drammatici, capace di incarnarsi sino alla fine e di consumarsi, o non sarà. Il brano che oggi viene letto nelle comunità cristiane solo in apparenza indebolisce quella crisi e solo in apparenza la sposta nel campo morale.

Certamente vengono date indicazioni che potremmo ascrivere al capitolo caritativo, magari anche ad una buona educazione filantropica, ma a ben vedere il tenore del testo è sempre cristologico: il centro è sempre il rapporto con Gesù e con la sua scelta, tutto dipende da lui e da come il suo mistero viene accettato, modificato, deformato… insomma la questione del bicchiere d’acqua dato per carità sta dentro la forma con cui l’amore di Dio si manifesta. La filantropia, di per sé buonissima declinazione dell’umano, è per Marco già manifestazione della teologia. Più per coerenza interna al fatto che Dio è amore che per desiderio di mettere «tutti sul carro», tutti sotto la medesima bandiera. Anche l’invidia che può suscitare chi «non è dei nostri», è sconfitta dal riconoscimento che il Bene è Bene a prescindere e non può conoscere o subire padroni: al contrario è libero e proviene da altro, non certo dalla protervia di un potente, di una cerchia, di un gruppo che si sente autorizzato a mettere il bollino di qualità sull’amore di Dio.

Ed infine, la furiosa e drastica reprimenda sullo scandalo, che impiega i codici della migliore apocalittica, ribalta tutto sul discepolo, la sua coerenza, le ragioni della sua professione di fede. È la medesima coerenza a guidare Marco anche in questo ulteriore passo: se si decide per il Bene che viene da Dio, si ingaggia un cammino certo non facile, mai accomodante. Occorre predisporre e manutenere in continuazione un equipaggiamento adeguato: occhi che sappiano scorgere il bene là dov’è, ovvero occhi liberi dal pregiudizio e dalla chiusura ideologica che costruisce i suoi muri perché crede di avere sempre nemici; mani e piedi sufficientemente allenati per non fare sgambetti a nessuno né porre ostacoli ai più fragili e piccoli, come se tutto dovesse essere misurato con criteri muscolari; forza d’animo sufficientemente radicale perché le nostre potenzialità ed energie non siano mai asservite al male.

Chi ha un cuore immaturo e ‘solo’ naturale forse si riconosce facilmente nell’obiezione di Giovanni che cerca di giustificare l’opposizione al bene compiuto da uno straniero, da uno che ‘non è dei nostri’: semplicemente l’altro non può, non deve! Senza riuscire a vedere che cacciare un demonio è sinonimo di liberazione, restituzione della dignità, benedizione di una vita sinora tenuta schiava. Non si tratta solo di un problema del tempo di Gesù (le culture di allora, Ebraismo in testa, necessariamente si nutrivano di identità forti): è il vero problema che discrimina la libertà di ogni essere umano, la trasparenza maggiore o minore del suo cuore. Perché in ogni epoca e in ogni condizione culturale nel cuore dell’uomo scattano meccanismi di difesa che ci costringono istintivamente a porre paletti, generare perimetri, assegnare ruoli chiari, soprattutto quando in ballo ci sono valori decisivi. Lo si vede dalla politica alla storia delle religioni, dal vicinato alle beghe di quartiere. Solo cavandosi gli occhi, tagliandosi le mani… ovvero solo costruendo la nostra capacità di giudizio su altro, quanto chiesto da Gesù sarà possibile. Sarà possibile sperimentare gratuità, dare bicchieri d’acqua e reimpostare una convivenza sociale dove il criterio dell’altro non è solo strumentale, solo ideologico.

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