L'ANALISI
31 Marzo 2024 - 19:00
Giuseppe Gibboni e Carlotta Dalia
CREMONA - Capello fluente e gellato, pizzetto, sguardo mediterraneo e un’abilità esecutiva che fa restare a bocca aperta. È un talento, la cui giovane età – 22 anni – lo rende, in prospettiva, uno dei protagonisti del concertismo di oggi come quello a venire. È semplicemente Giuseppe Gibboni, una vera star dell’archetto che merita di essere ascoltato. L’occasione sarà offerta venerdì prossimo all’auditorium Arvedi del Museo del Violino dal concerto benefico, organizzato dal Kiwanis Club Cremona Uno, presieduto da Giuseppe Cristaldi in occasione del trentennale del circolo. Il ricavato del concerto sarà devoluto all’Unicef. Gibboni sarà protagonista insieme alla chitarrista Carlotta Dalia. Il programma spazia dal Barocco – con brani per chitarra e violino di Tartini e Paganini - al tango di Astor Piazzolla. «Abbiamo scelto brani che uniscono chitarra e violino, a partire dalla Campanella di Paganini. Il concerto avrà momenti in cui io e Carlotta Dalia suoniamo insieme e altri in cui giochiamo il ruolo da solisti, ma sempre in un dialogo di comuni intenti esecutivi che rende la serata un corpus unico. Spero molto gradevole», spiega Gibboni.
La vittoria del 56esimo Premio Paganini è stata la svolta, sembra un’ovvietà sottolinearlo. Ma in che modo sono cambiate le sue prospettive di musicista?
Ride. «Certo vincere il Paganini mi ha portato a intraprendere la carriera professionistica, prima di allora ero uno studente di violino. Certo non basta vincere il Paganini, poi bisogna costruire passo passo la propria identità di musicista, imparare a scegliere i repertori giusti, affiancare la dedizione alla musica con le giuste strategie manageriali. Per questo dico che il Paganini mi ha fatto fare il salto da studente di violino a concertista. La strada è lunga, non facile, ma la sto percorrendo».
In questo suo itinerario un ruolo di primo piano ha l’Accademia Stauffer che oggi vive un importante sviluppo.
«L’aver studiato all’Accademia Stauffer è stato determinante per me e non solo per l’incontro con Salvatore Accardo. Ricordo con affetto Cremona, un contesto in cui studiare e fare musica pare più naturale che altrove».
E poi c’è stato l’incontro con Accardo.
«Un incontro determinante per la mia vita, come tutti gli incontri con i veri maestri. I suoi insegnamenti, la sua cultura musicale mi hanno formato e dato la possibilità di esprimermi al meglio».
Non ha mai temuto di divenire un piccolo Accardo e non trovare la sua personalità musicale?
«Quando si lavora a fianco dei grandi il pericolo di essere influenzati è molto grande. Ma Accardo è un vero maestro. Mi spiego. I veri maestri sanno riconoscere la personalità in nuce dei loro allievi e non la offuscano, anzi cercano di svilupparla. Questo ha fatto con me Salvatore Accardo».
Se dovesse sintetizzare l’insegnamento che ha ricevuto da Accardo, cosa direbbe?
«Direi che mi ha trasmesso il rispetto per la musica e la partitura. Il maestro Accardo mi ha insegnato a stare un passo indietro rispetto all’autore, a mettermi al servizio del compositore. Il mio ruolo è quello di esecutore. Non sono un compositore, io sono al servizio della musica».
Nessun protagonismo alla Quarta o alla Garrett?
«Un musicista non si giudica da come si veste o si presenta. I due violinisti che ha citato hanno un loro stile che non è il mio».
La musica colta sta vivendo un lungo periodo di calo di pubblico e crisi d’ascolto. La presenza di nuovi e giovani musicisti come lei può aiutare al ricambio generazionale del pubblico?
«Il fenomeno del calo del pubblico e del suo invecchiamento è un fenomeno molto evidente in Italia, lo è meno all’estero. Il problema, più volte sottolineato da colleghi molto più blasonati di me, sta nella diffusione della cultura musicale. In Italia non si insegna musica nelle scuole, cosa invece che avviene altrove. Questo fa la differenza nell’approccio alla musica colta. Ma è uno degli aspetti».
Ovvero?
«C’è anche la necessità da parte degli esecutori e di chi programma di aprirsi ai più giovani e dare loro delle opportunità maggiori, senza per questo evitare la cosiddetta gavetta. Ma forse lo svecchiamento del pubblico passa anche attraverso la creazione di opportunità per giovani musicisti».
Lei suona lo Stradivari 1734 Scotland University. Che effetto fa avere in mano uno Stradivari e che rapporto intreccia con uno strumento come quello del massimo liutaio?
«Il rapporto fra strumento e musicista è fisico. Passiamo insieme ore e ore e alla fine finisce con il fare parte del tuo corpo, esserne quasi un’appendice. Suonare uno Stradivari è una cosa unica, per la risposta acustica e timbrica che uno strumento simile sa offrire. Con l’abitudine si finisce col non pensare più che si ha in mano uno Stradivari e soprattutto pensare al suo valore».
Fra i promotori del concerto di venerdì all’Auditorium Arvedi del Museo del Violino c’è Dimitri Muasfia…
«Di cui io posseggo una custodia, un aspetto non secondario. Le custodie di Musafia sanno offrire una qualità e una sicurezza allo strumento che altre non hanno. L’aria troppo secca fa male a violini antichi e bisogna porre molta attenzione alla percentuale di umidità. Mi è capitato recentemente di trovarmi in una condizione in cui l’ambiente e la temperatura potevano danneggiare il violino. A un certo punto ho voluto controllare e l’idrometro all’interno della custodia segnava che il microclima all’interno era adeguato alla conservazione ottimale del mio violino. Insomma la custodia di Musafia è una garanzia per il mio Stradivari».
Copyright La Provincia di Cremona © 2012 Tutti i diritti riservati
P.Iva 00111740197 - via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona
Testata registrata presso il Tribunale di Cremona n. 469 - 23/02/2012
Server Provider: OVH s.r.l. Capo redattore responsabile: Paolo Gualandris