L'ANALISI
18 Febbraio 2024 - 05:05
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Mc 1,12-15
Ogni Quaresima inizia sullo stesso set: un ambiente desertico, un Gesù che viene sospinto da una forza potentissima a starsene per conto suo e il combattimento con Satana. Un episodio talmente celebre che dai Vangeli è come uscito, dando spazio e volto alla battaglia che ogni essere umano, prima o poi, combatte in se stesso.
Satana è letteralmente colui che divide, il diavolo, quella forza che descrive la vita con la forza semplice e convincente dei muri, delle difese, delle guardie armate e della lotta alla sottrazione dei beni altrui perché diventino… miei. Anche per chi non crede che Dio esista e non accoglie l’interpretazione che la teologia cristiana offre del mistero del male (non un altro Dio, ma una dimensione spirituale di ribellione che addirittura si allea con la debole libertà umana), occorre fare i conti con il fascino del male, la sua pervasività, quello scandalo che si genera difronte al desiderio sano di vivere e di vivere bene.
Nella storia del Cristianesimo che Gesù venga tentato ha sempre costituito una conferma della sua piena umanità: un modo alternativo per riesprimere, con lo stile di un incontro drammatico, parole durissime come incarnazione, solidarietà divina, abbassamento… del figlio di Dio nei confronti dell’uomo.
Che Gesù debba lottare con lo strapotere del male è compreso nel prezzo: il prezzo della piena alleanza con le dimensioni più scabrose della vita umana. Arriverà anche la morte; per il momento Marco ce lo raffigura alle prese con la tentazione, sinonimo di quanto tutti si è esposti al fallimento, all’equivoco, alla perversione. Attorno a lui il deserto che biblicamente gioca il ruolo duplice dell’inospitale pericolo e, contemporaneamente, del silenzio opportuno, perché emergano davvero i pensieri del cuore, oltre il frastuono della città, delle chiacchiere e della fretta che fungono troppo spesso da anestesia dell’anima. Senza questo spazio desertificato, solitario, senza questa ‘resa dei conti’ esplicita Marco non potrebbe fare sul serio con l’umanità di Gesù: potrebbe fargli rischiare il ruolo dell’accademico o, peggio, del ‘finto uomo’, una specie di Superman che vive sotto le mentite spoglie di un Clark Kent qualsiasi, con robusti fondi di bottiglia sugli occhi, perché il camuffamento riesca bene. Marco ce lo dice con chiarezza: nessun camuffamento, nessuna finzione. Qui c’è l’umano che Dio assume senza riserve: un umano che desidera capire, desidera abbracciare il bene, è consapevole della posta in gioco e, soprattutto, sa che c’è un ‘vangelo’, una buona notizia per cui vale la pena vivere (e morire).
Gesù non vuole fare la parte del profeta di sventure: un ruolo forse troppo facile, allora come oggi. Intuisce che oltre il tempo cronologico (krònos in greco) c’è un tempo qualitativo che chiede di esprimersi, emergere, farsi conoscere (kairòs): è il tempo della vita dell’uomo, in cui parole come amore e odio, sacrificio e vita, io e tu… diventano decisive, orientano in una direzione o in un’altra. Gesù dichiara che per ogni vita consapevole di sé, per ogni uomo e donna che cerca senso, il tempo cronologico è solo una scatola imprecisa; e poco importa se grande o piccola. Quel che conta è se si compie o meno un senso, se un umano matura, se c’è o meno un ‘vangelo’. Per Gesù e per le chiese cristiane di tutti i tempi questo vangelo è la buona notizia di una fedeltà divina che sa abitare anche il paradosso del fallimento e della morte; è il riscatto offerto per tutti; è la dignità che va riconosciuta anche a chi non possiede alcun requisito o competenza spendibile sui mille mercati dell’umano (da quello lavorativo a quello degli affetti, da quello dell’estetica a quello della forza). Almeno per questo – e soprattutto per questo - le comunità cristiane si radunano, ancora una volta.
Ma come sarebbe bello se questo vangelo, questa lotta contro il satanico e questa coscienza del tempo che ci qualifica come esseri umani, fossero di tutti. Come sarebbe bello decifrare insieme la presenza di uno Spirito che prima o poi spinge tutti alle più qualificanti decisioni di vita. E come sarebbe bello che questa ‘vocazione umana’ non fosse caricata su spalle troppo giovani, ma fosse presa sul serio da chi un po’ di tempo cronologico l’ha già vissuto, abbastanza da accorgersi che non tutto è uguale, che non tutto è vangelo, che non tutto è vita.
Basterebbe questo per essere in Quaresima.
Copyright La Provincia di Cremona © 2012 Tutti i diritti riservati
P.Iva 00111740197 - via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona
Testata registrata presso il Tribunale di Cremona n. 469 - 23/02/2012
Server Provider: OVH s.r.l. Capo redattore responsabile: Paolo Gualandris