L'ANALISI
CREMONA: LA GRANDE MUSICA
26 Ottobre 2023 - 09:04
Alessandro Quarta ha proposto i 5 Elementi in prima assoluta
CREMONA - I musicisti gli passano accanto nei pochi metri che separano il palco dai camerini e lui, seduto al solito posto, ne raccoglie le primissime impressioni dopo lo spettacolo. Come si fa con una persona esperta, che si conosce, di cui ci si fida. Chi meglio di Roberto Codazzi, direttore artistico del Museo del Violino e dello StradivariFestival, può svelare il dietro le quinte della XI edizione della manifestazione da poco conclusa? Un’edizione speciale perché ha festeggiato il decimo compleanno dell’MdV.
Tempo di bilanci. Qual è il suo?
«Quello artistico è estremamente positivo. Anche guardandoli da spettatore e con un occhio critico, tutti i concerti sono stati diversi l’uno dall’altro ma mi sono piaciuti. Non è che capiti sempre. La cosa bella è stato aver rappresentato questa diversità nel comun denominatore del violino, il grande protagonista. Dalla classicità apollinea di Midori all’istrionismo di Gilles Apap sono stati messi in scena tutti i mondi del pianeta violino».
Il festival è stato aperto da Ksenia Milas e Oleksandr Semchuk.
«Credo che aver fatto suonare insieme una violinista russa e un violinista ucraino in un contesto storico così disgraziato sia stato, al di là della retorica, un bel segnale. È stato il primo di diversi concerti di questa edizione in cui veniva eseguita un’opera di compositori contemporanei ideata per il nostro festival. Il pubblico ha apprezzato, a riprova che ci sono compositori di oggi capaci di scrivere musica che emoziona. Il caso più emblematico sono stati i 5 Elementi di Alessandro Quarta, un’opera che ha ottenuto un successo entusiastico».
Lei, quella sera, sembrava particolarmente teso.
«Beh, sì. Era una prima assoluta molto complessa da eseguire e da dirigere. Quarta ha ultimato la partitura, rielaborandola più volte, cinque minuti prima dell’esecuzione. E ha allargato l’organico orchestrale tanto che si è resa necessaria la presenza di un direttore, inizialmente non prevista».
Si è instaurato un rapporto particolare tra Quarta e Cremona e anche, così pare, tra lui e lei.
«Ci sono artisti che uniscono al talento e alla bravura la capacità di entrare in connessione con il pubblico. Quarta è uno di quelli che appartiene di più a questa categoria. Anche per il modo originale con cui si pone, è diventato un vero e proprio beniamino. Quando passeggia per le strade della città, la gente lo riconosce e lo ferma come fosse un cremonese. Un’altra scommessa è stata la Paganiniana».
Perché?
«Si è trattato anche in questo caso di una prima assoluta. È stato non dico un salto nel buio ma certo, ripeto, una scommessa: prendere un totem come i Capricci di Paganini e affidare a un compositore il compito di cucirli tra loro non è stata una scelta facile. Con un risultato, anche qui, molto apprezzato».
A proposito di azzardo, non temeva un Auditorium mezzo vuoto per le Variazioni Goldberg di Bach?
«Un po’ sì. Pur trattandosi di un’opera straordinaria, le Goldberg sono per i musicofili, più un piacere intellettuale che un divertimento. Inoltre, mi attirava la sfida, non potendo presentare la versione originale per tastiere in un festival del violino, di proporne una trascrizione per archi firmata da un musicista russo. Allo stesso tempo mi rassicurava il livello degli esecutori e , particolare, di Julian Rachlin, uno dei violinisti che stimo di più».
Come giudica l’esibizione di Midori?
«Splendida. Non solo per la presenza di una star del suo calibro (a 14 anni ha suonato con Leonard Bernstein, è una che ha fatto la storia non so se mi spiego), ma anche per il livello davvero eccezionale dell’Orchestra di Lucerna che ha interpretato la Serenata di Ciaikosvskij. Un brano che ho sentito centinaia di volte, ma quella è stata per qualità un’esecuzione sbalorditiva. Per me, una delle migliori».
Com’è Midori vista da vicino?
«Piuttosto riservata».
La domenica dopo è toccato a Daniel Lozakovich. Una sorpresa?
«Gli addetti ai lavori lo conoscevano perché ha suonato alla Scala e in alcuni dei teatri più prestigiosi ma, in effetti, non è ancora molto popolare. Quelli che sapevano poco o nulla di lui si sono fidati e sono venuti. Sono stati ricompensati da un giovane di soli 22 anni che, suonando in modo non ruffiano e non ostentatamente virtuosistico, ha dimostrato una grandissima maturità, vista l’età. Posso raccontare un piccolo episodio?».
Sentiamo.
«Lozakovich si è speso talmente tanto che ha concluso il concerto con un dito sanguinante per la pressione delle corde del violino. Ma è arrivato alla fine del concerto senza che ce ne accorgessimo».
A proposito di giovani, lo è anche il coreano Nurie Chung: ha firmato autografi ai suoi coetanei senza nessun atteggiamento divistico.
«È un ragazzo semplice, umile, come in genere o sono gli artisti di quei Paesi. Ha impressionato per il suo grande virtuosismo scalando un Everest dal punto di vista tecnico come i Capricci di Paganini con una facilità che ha trasmesso sicurezza».
Con Giovanni Gnocchi e il suo violoncello si è giocato in casa.
«Due giorni dopo il concerto Marco Mauro Moruzzi, figlio dell’indimenticato Mauro, primo violoncellista dell'Agon Ensemble e cremonese come Gnocchi, si è laureato con il massimo dei voti al Mozarteum di Salisburgo nella classe dello stesso Gnocchi. Che è come essere professori a Oxford o Harvard».
Ha chiuso Gilles Apap.
«C’è, secondo me, gente troppo legata all’ortodossia di un concerto, durante il quale non ci si può muovere o respirare. Apap, violinista franco-tunisino che vive in California in un posto di surfisti, interpreta in modo diverso la musica. Qualcuno potrà anche aver storto il naso per come si è presentato questo artista, ma di sicuro il suo è stato un recital divertente, anche per la musicalità della fisarmonica di Myriam Lafargue, che lo accompagnava. Uno strumento, anche se molti non lo sanno, che ha molto a che fare con Cremona».
Qual è la sua immagine indimenticabile dello Stradivarifestival?
«Il pianto a dirotto di Quarta alla fine del concerto. Un pianto liberatorio. Credo che molti tra il pubblico si siano commossi. È stato un momento che ha portato a sintesi la magia dell’Auditorium e che dimostra la scelta azzeccata del cavalier Giovanni Arvedi, che l’Auditorium ha voluto. Un luogo che, per la sua conformazione e la sua acustica, abbraccia musicisti e spettatori, cosa che nei teatri convenzionali non avviene. Lo dicono tutti gli artisti».
Sicuro che siano sinceri?
«Sì, lo sono, e aggiungono: peccato, avrei voluto registrare qui il concerto».
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