L'ANALISI
22 Ottobre 2023 - 13:15
CREMONA - Ascoltare Bach fa sempre bene all’anima: ieri sera, all’Auditorium del Museo del Violino, una memorabile esecuzione delle Variazioni Goldberg, capolavoro tecnico di Johann Sebastian Bach. La trascrizione per trio d’archi curata da Dmitry Sitkovetsky conferisce alle Goldberg una ulteriore varietà di sfumature e ricchezza espressiva, ricollocando le Variazioni in un agone dialogico di grande effetto, che certo contribuisce ad allontanare le Goldberg da quell’idea decisamente vetusta di un esercizio di stile fine a se stesso, privo di qualsivoglia afflato artistico. Sono anzi, la dimostrazione pulsante e sbalorditiva dell’infinità potenzialità della musica, della versatilità di ogni nota, tema, strumento, voce. Come ha detto ironicamente (ma non troppo) il violinista Julian Rachlin prima di iniziare il concerto: «Le Goldberg sono la Bibbia della musica classica».
E se le Goldberg sono la Bibbia, Bach, della musica classica, ne è sicuramente il maggiore profeta: le Variazioni, insieme a Die Kunst der Fuge (l’arte della Fuga), sono i due capisaldi della produzione bachiana da cui dipende tutta la musica successiva. Il grande valore strutturale e l’irraggiungibile tecnica compositiva fanno delle Goldberg, infatti, un vero monumento all’intelligenza senza tempo del Cantor. «Non sarebbero esistiti Haydn, Mozart, né nessun altro compositore senza Bach» prosegue Rachlin nel suo discorso introduttivo. Del resto, come chiosa giustamente Rachlin, «La musica è la nostra religione». Il titolo Variazioni Goldberg è legato a un aneddoto tramandato nel 1802 da Nikolaus Forkel, primo biografo di Bach. Secondo Forkel, l'Aria con diverse variazioni era stata commissionata a Bach da un nobiluomo di Dresda, Hermann Carl von Keyserlingk, che soffriva di insonnia e alleviava la noia delle notti in bianco ascoltando pezzi per clavicembalo suonati da Johann Cottlieb Goldberg, allievo di Bach nel 1742 e nel 1743, anche se problemi di datazione rendono questo racconto nulla più di una leggenda.
Il trio, formato da Julian Rachlin (violino), Sarah McElravy (viola) e Boris Andrianov (violoncello), interpreta meravigliosamente il grande capolavoro bachiano, offrendo un bel gioco di contrasti e un’esecuzione di prim’ordine, brillante, appassionata, di straordinaria ricchezza espressiva. Lo testimonia l’entusiasmo del (folto) pubblico, che ha coronato i tre interpreti con un lunghissimo e sentito applauso. Tra le mani dei tre musicisti, tre strumenti di gran pregio che ripercorrono la grande storia della liuteria cremonese (si chiama pur sempre Stradivarifestival): il violino Stradivari ex Liebig 1704, la viola Lorenzo Storioni 1785 e un violoncello Carlo Bergonzi.
Oggi alle 18 il Festival chiude con il concerto di Gilles Apap (violino) e Myriam Lafargue (fisarmonica). Il duo porta all’Auditorium Arvedi un repertorio classico unito a un mix di musiche tradizionali bretoni, irlandesi e bulgare: in cartellone pagine di Kreisler, de Falla, von Paradis, Bach, Thomas, Semionov, Piazzolla e de Sarasate. Qualche biglietto ancora disponibile.
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