L'ANALISI
10 Settembre 2023 - 08:52
CREMONA - È un enigma, quello ancora oggi ruota attorno al ciclo di tavole a tema sacro dipinte da Antonio Campi (Cremona, 1522/1523-1587) per l’oratorio di Torre Pallavicina, quattro delle quali — Andata al calvario e Resurrezione dai Musei Reali di Torino e Cristo nell’orto e Cristo davanti a Caifa da Galleria Canesso di Milano — sono esposte fino al 19 novembre al Museo Diocesano (da lunedì a domenica con orario 10-13 e 14,30-18. Catalogo Delmiglio a cura di Eleonora Scianna). Ha fatto gli onori di casa il curatore del Diocesano, Stefano Macconi, anche a nome del direttore don Gianluca Gaiardi. Già nel 1974 la storica dell’arte cremonese Maria Luisa Ferrari aveva iniziato a studiare «con coraggio» le due tavole oggi della Canesso, dal soggetto e dal formato non comune. Le recentissime scoperte documentarie e archivistiche di Monica Visioli che hanno messo al loro posto importanti tessere del mosaico, unite agli studi trentennali di Marco Tanzi, confermati e confortati dalla «consapevolezza, mai palesata così macroscopicamente, dell’abilità diabolica» del pittore prediletto da Carlo Borromeo «di giocare le sue carte su più tavoli, secondo un numero di registri espressivi davvero rimarchevole», hanno permesso di identificarne l’origine comune e mettere insieme, in una mostra piccola ma di altissimo valore, le quattro tavole superstiti (o comunque delle quali si ha notizia certa) delle quindici che ornavano la cappella privata di Santa Lucia al palazzo Pallavicino Barbò di Torre Pallavicina.
«Che bello vedere quanto i cremonesi siano così appassionati d’arte... », ha esordito la giovane curatrice, che ha ringraziato i presenti e «tutti coloro che hanno reso possibile in così breve tempo di donare al pubblico quella che, diversamente, sarebbe rimasta una scoperta d’archivio è importante per la storia dell’arte, ma ancora di più se può essere divulgata». «Il mio desiderio più grande? Recuperare l’intero ciclo - ha detto poi - ma già queste due coppie di dipinti sono davvero splendidi per motivi, tra l’altro, molto diversi. Le due di Torino, attribuite ad Antonio Campi da Marco Tanzi, non dimentichiamolo, sono accese, luminosissime, piene di citazioni da Dürer e dalla pittura visiva nordica. Nei due notturni della Canesso, invece, l’interesse principale dell’autore è la ricerca illuministica, l’effetto chiaroscurale davvero molto moderno, preludio agli esiti della cultura caravaggesca. Dunque due coppie molto diverse, vederle insieme è una bellissima sensazione: sembra si diano forza a vicenda».
Chissà che meraviglia sarà stato il colpo d’occhio sull’Oratorio di Santa Lucia, almeno 15 tavole (per qualcuno addirittura 25) con episodi della Passione, tutte uguali nel formato verticale, dai colori brillanti e intensissimi che il committente, Antonio Pallavicino, volle fossero poste all’interno di una boiserie di legni pregiati. Di quanto fossero tanto belle quanto ammalorate ce lo racconta l’abate Ramon Ximenes, precettore del marchese Daniele Ala, in una lettera del 1802, che ha permesso a Visioli e Tanzi di chiudere il cerchio su quasi mezzo secolo di studi.
«Il macchinista del dramma sacro ambientato in provincia», così Roberto Longhi aveva appellato Antonio Campi per quel virtuosismo estremo evidente nel Cristo prima di Caifa e Agonia in Giardino. Lo ha sottolineato Tanzi parlando dei quattro capolavori esposti al Diocesano in cui è evidente, afferma lo studioso, «una svolta precisa, da una pittura manieristica con un’attenzione nordica al vero di natura, ai giochi di luce, alle sperimentazioni illuministiche che hanno affascinato Caravaggio bambino di passaggio a Milano».
Hanno brevemente portato i saluti Annamaria Bava, responsabile delle collezioni d’arte e archeologia dei Musei Reali di Torino e Maurizio Canesso della omonima galleria. «Chissà che grazie a questa mostra non possano riemergere nuovi pezzi di quella straordinaria ancona - ha detto Bava — ora difficile da immaginare ma che un tempo doveva incantare i fedeli. Con grande piacere i Musei Reali collaborano a questa importante iniziativa». «Di queste opere mi ha subito colpito la potenza espressiva — ha aggiunto Canesso -: pur nel buio della notte i colori acidi e brillanti così tipicamente cremonesi dei due notturni danno loro grande modernità. Mi è sembrato giusto proporre il progetto a Cremona, terra natale di Antonio Campi, contribuendo a innescare nuove ricerche scientifiche. Grazie al lavoro di tutti le quattro opere sono visibili insieme, e questa è una bella soddisfazione». Un’impresa non da poco questa piccola mostra raffinata, focalizzata su quattro grandi capolavori. Motivo in più per visitare il Diocesano, che già sabato prossimo si offrirà alla versatilità delle proposte con un salto in avanti nel tempo di qualche secolo. Felice Giuseppe Vertua (1820-1862), vedutista cremonese inaugura infatti alle 11 di sabato 16 settembre.
FOTO: FOTOLIVE/PAOLO CISI
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