L'ANALISI
ARTE
19 Agosto 2023 - 10:23
I due notturni di Canesso ‘Cristo nell’orto’ e ‘Cristo davanti a Caifa’ e le due dei Musei Reali di Torino: ‘Andata al Calvario’ e ‘Resurrezione’ che fanno parte di un ciclo di 15 dipinti
CREMONA - Dalla collaborazione tra il Museo Diocesano e la galleria milanese Canesso, grazie al prestito accordato dai Musei Reali di Torino e alle nuove scoperte documentarie, dal 9 settembre nelle sale del Diocesano sarà possibile ammirare, riunite per la prima volta dopo oltre quattro secoli, le quattro tavole superstiti di un ampio ciclo dipinto dal grande manierista cremonese Antonio Campi (1522/1523 – 1587) negli anni Settanta del Cinquecento per la cappella privata del marchese Adalberto Pallavicino. È soltanto quest’anno, grazie alle ultime scoperte d’archivio dovute a Monica Visioli, che si è potuto stabilire con certezza che le due coppie di dipinti – quelle torinesi e quelle di galleria Canesso – condividono una comune provenienza: l’Oratorio di Santa Lucia dello splendido palazzo Pallavicino Barbò a Torre Pallavicina, oggi in provincia di Bergamo, nel Cinquecento zona franca al confine fra i territori bergamaschi, cremonesi e bresciani.
‘Cristo nell’orto’ e ‘Cristo davanti a Caifa’, le due tavole della Canesso, erano state pubblicate cinquanta anni fa dalla storica dell’arte Maria Luisa Ferrari, cremonese, che ebbe occasione di vederle in casa Barbò a Milano, prima che fossero vendute nei primi anni Settanta del Novecento. A Ferrari, Beatrice Tanzi ha recentemente dedicato il saggio ‘Tra Arslan e Longhi. La Lombardia di Maria Luisa Ferrari’ (2022). «Nel 1974 — scrive Tanzi — (Ferrari, ndr) pubblica un articolo in cui affronta gli affreschi lasciati da Giulio e, soprattutto, Antonio Campi a Torre Pallavicina, la villa di Adalberto Pallavicino, con una serie di scene profane di erotismo a volte sfrenato. Questi ci mostrano, ai massimi livelli, quella che doveva essere la decorazione profana nella Milano dell’epoca. In questo studio presenta anche due tavole di Antonio Campi (La preghiera nell’Orto e Cristo davanti a Caifa), proprio di recente riemerse sul mercato antiquario milanese, che facevano parte dell’arredo della cappella dell’oratorio della villa, dedicato a Santa Lucia: qui non siamo più nel pieno della maniera degli anni Cinquanta, ma c’è un ritorno alle luci artificiali, agli esperimenti che creano una nuova visione del rapporto tra la luce e l’ambiente così ben delineati da Roberto Longhi nei suoi studi sui precedenti caravaggeschi».
A conferma dell’attribuzione, Ferrari mette le due tavole in rapporto con un foglio del Gabinetto dei Disegni e Stampe degli Uffizi a Firenze con studi delle mani e del volto di Caifa e della mano che indica di uno dei soldati.
La prima esposizione dei dipinti presso la sede milanese di galleria Canesso nel settembre 2021, ha portato nuovamente la questione di Torre Pallavicina all’attenzione degli studiosi: grazie ad approfondite ricerche d’archivio e una attività scientifica a tutto tondo, il ritrovamento di un documento inedito da parte di Visioli ha permesso allo storico dell’arte Marco Tanzi di aggiornare una sua precedente scoperta, relativa a due tavole entrate nelle collezioni dei Musei Reali di Torino.
Nel 1994, Marco Tanzi aveva attribuito ad Antonio Campi due tavole dei Musei Reali di Torino (‘Andata al Calvario’ e una ‘Resurrezione’) fino a quel momento considerate opera di un pittore nordico. Erano entrate nelle collezioni sabaude negli anni Cinquanta quando, nonostante l’autore fosse anonimo, lo Stato aveva deciso di acquisirle per la loro altissima qualità. Soltanto quest’anno, grazie appunto agli studi portati avanti da Monica Visioli — pubblicati con altri contributi nel catalogo edito da Delmiglio che accompagna la mostra con un rinnovato corredo iconografico — si è potuto stabilire con certezza la comune origine e collocazione delle due coppie di dipinti, quelle torinesi e quelle di Canesso.
La capacità espressiva, gli effetti luministici, gli accordi cromatici che fanno di Antonio uno «dei pre-caravaggeschi lombardi», si legge nella scheda approntata da Canesso, sono evidenti nel ‘Cristo nell’orto’. «Un angelo appare in volo e la luce sovrannaturale che emana fa emergere dal buio il solo Cristo avvolto in un’ampia tunica rosa cangiante in bianco sul petto, dove il bagliore angelico è più intenso. In secondo piano si intravedono due tronchi di ulivo, unico riferimento all’ambientazione evangelica dell’episodio. Ai piedi degli alberi dormono tre apostoli quasi fusi tra loro nell’oscurità e con il paesaggio bruno-verdastro: le loro sagome sono appena contornate da un raggio di luna. Sullo sfondo si stagliano le rovine di una luccicante Gerusalemme immaginaria. Il cielo nuvoloso si apre sopra la città lasciando filtrare bagliori lunari che la fanno sembrare quasi d’argento. In una scena priva di azione, il dramma mistico è dato dalla luce, vera protagonista».
Qui il verde acido e brillante, l’azzurro della veste del giovane tedoforo, il giallo e il rosa delle vesti del sacerdote e di Cristo «rispondono alle gradazioni d’ombra in una gamma di toni magistralmente resa. Gli straordinari accordi cromatici sono ancora più brillanti contro il fondo notturno. Soltanto la fiamma della torcia illumina i personaggi, frusciando sulle vesti e sui volti. Un teatro di mani cariche di espressività anima la scena. Soprattutto quelle dei soldati che affiancano Cristo: una chiusa che impugna un luccicante tirapugni metallico e quella del manigoldo di spalle, in primo piano, che indica il sacerdote. Caifa ha mani grandi e nodose, allungate dall’ombra che proiettano sul velluto giallo della ricchissima veste del vecchio sacerdote, indignato dalle parole di Cristo».
La costruzione del palazzo comincia attorno al 1550, cinque anni dopo Antonio Campi è ingaggiato dal marchese Pallavicino e per lui affresca gli Amori di Giove e gli Amori degli Dei al piano terra e al primo piano della residenza: «Tra i maggiori esempi del Manierismo lombardo per lo spettacolare illusionismo prospettico e per la libertà espressiva», spiegano da Canesso. Negli anni Settanta del Cinquecento, ‘Cristo davanti a Caifa’ e ‘Cristo nell’orto’ facevano già parte dell’apparato mobile dell’Oratorio di Santa Lucia. In quegli anni il pittore cremonese, secondo dei fratelli Campi, dopo Giulio e prima di Vincenzo, ha ormai conquistato un posto di rilievo anche nel panorama artistico milanese, sostenuto dall’arcivescovo Carlo Borromeo, grande ammiratore di quella maniera «tanto esemplare di dare tenuta profondamente poetica» al dramma religioso. La decorazione dell’Oratorio conclude l’ambizioso progetto di Adalberto per la sua residenza. Tra le sue ultime volontà, anche quella che gli eredi portassero a compimento la decorazione della cappella annessa alla villa. Del 1575 è un pagamento a favore di Antonio e Vincenzo Campi «per lavori da eseguirsi entro tre anni». Non sappiamo se i patti siano stati o meno rispettati, ma la documentazione permette comunque di datare i lavori tra il 1570 e il 1578.
Della sorte delle altre tavole di Torre Pallavicina, 15 in totale (25 ne segnala invece Desiderio Arisi nella sua ‘Accademia dei pittori’), inserite in una boiserie lignea che ricopriva le pareti della piccola cappella privata di Torre, alcune certamente danneggiate e forse distrutte, non ci sono notizie. Circa un secolo dopo l’Arisi, nel 1802, il gesuita Ximenes ricorda «tre tavole levate dall’Oratorio di quella antica e signorile villa de’ Pallavicini, ove andavano a perire per l’umidità del luogo e per l’incuria e balordaggine de’ contadini [...] graziosi, morbidi, e bellini in tutte le loro parti. Rappresentano uno la Crocefissione di Nostro Signore: altro l’Incontro del Redentore colla Veronica quando andava al calvario, ed il terzo la Risurrezione». Non è una coincidenza se proprio ‘Andata al Calvario’ e una ‘Resurrezione’ sono le tavole sabaude riconosciute da Tanzi come opere di Antonio. Le ricerche di Visioli hanno permesso di recuperare le informazioni contenute nei resoconti delle visite pastorali che nel corso del Seicento il vescovo Pietro Campori aveva effettuato all’Oratorio di Santa Lucia. È anche grazie a queste testimonianze che oggi si è arrivati a individuare nelle due coppie di tavole «la preziosa traccia di un ampio ciclo di dipinti su tavola dedicato alla Passione di Cristo, un caso senza paragoni nella Lombardia dell’epoca».
‘Antonio Campi a Torre Pallavicina. L’Oratorio di Santa Lucia’ apre il 9 settembre prossimo presso il Museo Diocesano di Cremona (piazza Sant’Antonio Maria Zaccaria). Orari di visita martedì-domenica, dalle 10 alle 13 e dalle 14,30 alle 18. La mostra è curata da Eleonora Scianna, il catalogo è edito da Delmiglio.
Per informazioni info@museidiocesicremona.it; 0372 495082
Copyright La Provincia di Cremona © 2012 Tutti i diritti riservati
P.Iva 00111740197 - via delle Industrie, 2 - 26100 Cremona
Testata registrata presso il Tribunale di Cremona n. 469 - 23/02/2012
Server Provider: OVH s.r.l. Capo redattore responsabile: Paolo Gualandris