L'ANALISI
18 Agosto 2023 - 14:18
CREMONA - «Cos’è per te la liuteria?»: è una delle domande che Fulvia Caruso, docente presso il Dipartimento di Musicologia e Beni culturali dell’Università di Pavia, ha posto insieme a Lorenzo Pizzi a una trentina di liutai cremonesi.
Partendo dalle risposte a quesiti su cosa voglia dire fare liuteria per gli eredi di Stradivari, se abbia un valore operare a Cremona, quale sia il modello ideale di violino, quale invece il rapporto che intercorre fra maestro e allievo a scuola anziché che in bottega, Caruso ha costruito un racconto del saper fare liutario visto dall’interno e dai suoi protagonisti.
È questo il senso del volume polifonico ‘Le parole dei liutai. Il saper fare cremonese raccontato dai liutai’, pubblicato da CremonaBooks (pagine 200, euro 14).
Caruso parte dalla sua esperienza di neofita del mondo della liuteria nel momento in cui il Comune le chiede di realizzare il dossier per la candidatura del saper fare liutario presso l’Unesco quale bene immateriale dell’umanità: era il lontano 2009. Da qui inizia la prima tranche di ricerca sul campo con il coinvolgimento e le interviste approfondite ai primi undici liutai, era il 2011. E fra gli intervistati figurano Gio Batta Morassi, Francesco Bissolotti — come dire i due fondatori della liuteria cremonese della seconda metà del Novecento - poi Stefano Conia, Robert Gasser, Mathijs Adriaan Heyligers, Giovanni Lucchi, Annamaria Menta, Simeone Morassi, Primo Pistoni, Giorgio Scolari, Stefano Trabucchi.
Poi a una decina di anni dal riconoscimento Unesco del dicembre 2012, Fulvia Caruso, lavorando al piano di salvaguardia del saper fare liutario, torna a sentire altri maestri: Katharina Abbuehl, Claudio Amighetti, Giuseppe Arré, Elena Bardella, Damiano Catesi, Marco Coppiardi, Marco Dotti, Gaspar Borchardt e Sibylle Fehr, Bénédicte Friedmann, Matteo Giovannetti, Marianne Jost, Marianne Lenzini, Bernard Neumann, Shotaro Nishimura, Alessandra Pedota, Edgar Russ, Pasquale Sardone , Davide Sora, Wanna Zambelli.
«Da tutti questi incontri è uscito il ritratto di un mondo composito, articolato, pieno di fascino — racconta Caruso —. Sono passata dai racconti di coloro che hanno contribuito alla storia della liuteria della seconda metà del ‘900, al confronto con i giovani professionisti e la difficoltà di trovare spazio in un contesto molto competitivo, in un mercato internazionale che richiede di stare al passo con i tempi. Ne sono usciti i racconti di incontri e scontri con i musicisti, a cui si aggiungono l’esperienza fondante della scuola e della sua innata internazionalità. Non si può non rimanere affascinati da quanto i maestri raccontano, da come vedono il mondo dal loro banco di lavoro, nel chiuso delle loro botteghe».
Leggendo ‘Le parole dei liutai’ chi a Cremona vive da sempre o ci è nato si inorgoglisce perché i maestri liutai parlano della città con un amore incondizionato: «Essere a Cremona non ha eguali per motivi concreti come c’è tutto un ecosistema in cui è possibile trovare legno, arnesi e tutto ciò che serve al mestiere — continua Caruso —. Ma oltre a questi aspetti materiali, per molti fare violini a Cremona vuol dire confrontarsi con tanti colleghi. Neumann ha sottolineato la bellezza della città, mentre Heyligers ha raccontato che molti liutai vengono frequentemente a Cremona solo per prendere un pochettino di ossigeno e scambiare due chiacchiere con un collega».
Dal libro di Fulvia Caruso fuoriesce l’immagine di una comunità di sognatori, di artigiani che sanno fare e pensare la bellezza, si avverte la consapevolezza di essere parte integrante di una tradizione plurisecolare che fa dire ai maestri liutai:
«Il bello di stare a Cremona è che quando vogliamo possiamo andare a lezione dagli Stradivari, dagli Amati, dai Guarneri del Gesù, confrontandoci con i capolavori della liuteria classica». L’apprendimento in bottega e il ruolo della scuola, senza contare la costruzione degli strumenti e la ricerca di una prassi costruttiva che sia espressione della tradizione cremonese sono alcuni dei temi trattati nel libro insieme a quelli legati ai rapporti con i musicisti e al valore aggiunto di operare nella città di Stradivari. ‘Le parole dei liutai’ di Fulvia Caruso ha la giusta freschezza delle testimonianze in presa diretta che permetterono al lettore di entrare nelle botteghe dei singoli liutai, di incontrare questi artigiani provenienti da tutto il mondo, innamorati dell’antico saper fare liutario che trasforma il legno in suono, in una inesausta ricerca del suono perfetto. E in questo Stradivari fu maestro.
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