L'ANALISI
16 Luglio 2023 - 19:52
CREMONA - Se li porta dietro come ha fatto il pifferaio di Hamelin con i bambini della fiaba dei fratelli Grimm - ma Aleksey Igudesman suona il violino, non il flauto - e con loro fa irruzione sul palco del giardino di Palazzo Stauffer che venerdì sera ha ospitato il penultimo appuntamento del festival estivo.
Camicia viola cangiante e baschetto in tinta, Louboutin con i brillantini, mimica facciale da attore consumato, sguardo ammiccante, Igudesman non è solo un violinista, ma anche un compositore, un direttore d’orchestra, un regista e, appunto, un attore comico.
È uno, insomma, che lega la musica a un’idea di spettacolo totale, preferibilmente divertente. Per andargli dietro, occorre essere «crazy» - pazzo è la parola che ricorre di più nelle sue lunghe digressioni parlate - ma anche «hero», eroi. Perché non è semplice arrivare a Cremona da tutto il mondo per seguire un workshop allo Stauffer Center, aver presumibilmente frequentato finora il mondo compassato della musica classica e trovarsi pochi giorni dopo a ballare la Cucaracha, suonare nenie kletzmer, imparare ed eseguire composizioni ardite, ancheggiare su ritmi cubani, dondolarsi al suono di ballate scozzesi. Così, tutto in una notte e per di più caldissima.
Non è semplice, e il talento - gli allievi della Stauffer e i ragazzi del World Youth Ensemble ne hanno a palate - non è sufficiente. Occorre sapersi mettere in discussione, chiudere gli occhi e tuffarsi, essere disposti a lasciarsi andare e ad affidarsi a un violinista ‘pazzo’ e seducente. Occorre saper giocare, to play, jogar, jouer, spielen jugar: ed è curioso che solo l’italiano abbia due parole tanto diverse per indicare suonare e giocare, quasi che una escluda l’altra, senza possibilità di intreccio. Suona e gioca, invece, Igudesman. Suonano e giocano, i suoi ragazzi.
Il pubblico si fa complice, si diverte, batte le mani a tempo, canticchia mentre sul palco succede di tutto. Le note portano di qua e di là dall’Oceano, procedono a zigzag lungo le rive di quello che un tempo era il Mare nostrum e che oggi è cimitero di uomini e sogni, si inerpicano lungo le rotte balcaniche, si addentrano nelle tradizioni dell’Europa dell’Est. Il palco sembra essere una sorta di caravanserraglio in cui si incrociano genti, storie e destini.
Igudesman non si limita a esaltare il talento e la bravura dei suoi allievi, che hanno dalla loro la capacità e il tempo per affinare il virtuosismo e conquistare le platee internazionali. Ha chiesto piuttosto di essere loro stessi, di portare in scena radici e tradizioni dei paesi d’origine, di non nascondere la complessità di un mondo plurale, di considerare lo spartito come un punto di partenza e non di arrivo. ‘Strings of the world’ è il titolo di un concerto che riporta il violino sulla strada - ben radicata soprattutto nell’Europa dell’Est - delle tradizioni popolari, folkloriche, gitane, yiddish.
Il violino è leggero, facile da portarsi dietro, strumento nomade per eccellenza. Sembrano figurine di Chagall, i ragazzi e le ragazze in scena. Sposine e innamorati scesi momentaneamente a terra - abbiamo tutti bisogno di angeli - per portare al pubblico il gusto del divertimento e di una musica giocosa, come un tempo facevano gli artisti girovaghi.
L’approccio è irriverente e neppure Mozart sfugge: Eine kleine Nachtmusik, travolta dal rap, è sincopata, spezzettata, frantumata, scomposta e ricomposta, eppure uguale a se stessa.
Dalla coralità dell’ensemble spiccano alcune personalità. Su tutti, non foss’altro perché ha solo 11 anni, Jefferson Kang Tae-Kyum, che sembra nato con il violino in mano e che a 5 anni, che è più o meno l’età a cui si tolgono le rotelle dalla bici, ha composto un brano che gli è venuto in mente così, accordando lo strumento. Bohdan Doroshenko, invece, il suo pezzo l’ha scritto di ritorno dal pub, «decisamente un po’ brillo» e perseguitato dal ronzio di un’ape. Ma, attenzione. Il gioco è una cosa seria, segue regole precise, addirittura pedisseque. La capacità di giocare con la musica (o giocare la musica) richiede capacità, impegno, determinazione. Basi serie, come ha ricordato in apertura di serata Alessandro Tantardini, presidente della Fondazione Stauffer, sottolineando come anche questa edizione dello Stauffer Summer Music Festival sia dedicato al ricordo di Andrea Mosconi e alla sua visione lungimirante che ha contribuito a portare nel mondo il nome di Cremona.
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